Men in black 3 è l’ultimo film della trilogia di Men in Black che vede protagonisti Will Smith e Tommy Lee Jones. L’ultimo capitolo arrivava dopo diverso tempo dal successo del primo e pertanto implicava a dir poco moltissime aspettative da parte dei fan, affezionati a una storia che avevano conosciuto nel 1997.
Men in Black 3 arriva invece nel 2012, esce nei cinema anche con la nuova tecnologia in 3D. I tempi sono cambiati, molti fan cresciuti e per altri è arrivato il momento di scoprire per la prima volta la saga. Eppure, inaspettatamente, questo è probabilmente il film migliore della trilogia.
Men in Black 3: il topos del viaggio nel tempo
La scelta di un terzo film era già abbastanza rischiosa per tutti i motivi che abbiamo già sviscerato. Un franchise che è nato negli anni 90, che fa uscire il terzo film nel 2012, rischiando o un enorme successo o un flop totale. Nella sceneggiatura e scrittura di Men in Black 3, però, si rischia ulteriormente: la trama è quanto di più scontato possa esserci in un universo fantascientifico.
Come sempre, all’inizio del film siamo immersi nella routine tra l’Agente K e l’Agente J, intenti a fare il proprio dovere. Ma nel frattempo, un vecchio nemico dell’Agente K, Boris detto l’animale, ha deciso di tornare indietro nel tempo per cambiare il corso degli eventi. K lo aveva infatti arrestato, fermando un suo tentativo di invasione e distruzione della Terra, proteggendola con una barriera aliena. Boris è ora evaso dal carcere e medita vendetta. Torna indietro nel tempo e uccide K.
Così, l’Agente J si ritrova all’improvviso catapultato in una sorta di nuovo universo dove lui è sempre parte dei Men in Black, ma il suo mentore è morto anni fa e nessuno ha memoria di lui invecchiato. Anche lui deve quindi tornare indietro per cambiare le cose. Fiore all’occhiello di questo film sembra subito essere l’interpretazione di Emma Thompson che qui ha il ruolo di Agente O.
Alla ricerca del mentore giovane: un Ritorno al futuro ma con gli alieni
Se ci pensiamo, Men in Black 3 è in tutto e per tutto una sorta di Ritorno al futuro con gli alieni. Abbiamo il giovane protagonista che torna indietro nel tempo per salvare la situazione modificatasi a causa di un viaggio nel tempo errato. E come Marty McFly cerca subito il suo mentore Doc che puntualmente non gli crede, così l’Agente J si mette subito alla ricerca del “K giovane”.
Non è chiaramente questa un’accusa di plagio, sia ben chiaro, anzi. Men in Black 3 prende il topos del viaggio nel tempo e lo fa suo senza però dimenticare l’effetto nostalgia che, dopo tutti questi anni, è giusto sia evocato. Lo spettatore, grazie ad un’accurata scelta di casting, arriva a dimenticarsi che insieme con Will Smith non c’è il “vero K” Tommy Lee Jones, ma crede davvero di essere con un giovane K, qui interpretato da Josh Brolin. Tommy Lee Jones non avrebbe comunque potuto affrontare delle scene troppo d’azione, visibilmente invecchiato ma senza perdere il suo smalto e la sua drammaticità.
In sostanza, sembra che Men in Black 3 mantenga il ritmo che tutti si aspettavano, sembra che non deluda e che anzi conduca verso se possibile un giallo anche più intricato dei precedenti. Ciò che sembra mancare per tutto il film sembrano però le risposte alle domande di sempre. Perché K si comporta in modo così strano? Sappiamo tutti che il suo è un carattere particolare, ma stavolta tante cose non tornano. E perché solo J si ricorda di lui dopo che è morto nel passato?
Un maestoso colpo di scena
Le risposte arrivano alla fine. Della vita privata dei nostri Men in Black sappiamo molto poco. Questo perché sono uomini che devono passare inosservati e il cui scopo ultimo è la missione e nient’altro. Cosa siano stati prima, non conta. Lo ha detto l’Agente Z nel primo film, e noi ce lo ricordiamo. Così dobbiamo comprendere la natura di questi uomini da piccoli dettagli. Di K sappiamo che è stato sposato e innamorato, di J sappiamo che ha rinunciato alla donna a cui aveva cominciato a tenere profondamente nel secondo film.
Ma una cosa la sappiamo; K malgrado la natura burbera e misantropa, in fondo tiene a J, e così vale per il giovane allievo che alla fine del primo film non vorrebbe mai neuralizzarlo cancellandogli i ricordi di sé. Con un intreccio molto funzionale, Men in Black 3 ci fa conoscere di J anche un aspetto che avevamo intuito: è un ragazzo che si è fatto da solo, senza genitori, soprattutto senza un padre.
Ma un padre in fondo, seppur non biologico, J lo ha sempre avuto; scopriamo che K lo ha arruolato perché ha purtroppo assistito alla morte di suo padre, un eroe, che si è sacrificato per il bene della Terra. Come sempre, i nostri protagonisti sono di poche parole, ma con un brillante colpo di scena il terzo film chiude un cerchio che è cominciato dalla meraviglia delle stelle e fino alla semplicità del quotidiano, in conclusione, ci conduce.