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Mad Max: Fury Road

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Sabbia, sabbia e ancora sabbia. Ha un che di metaforico, per quanto adiacente in pieno alle ambientazioni tipiche del filone post-apocalittico, la costante paesaggistica che fa da sfondo alle vicende di Mad Max: Fury Road, ritorno di George Miller sul luogo del delitto a trent’anni esatti dall’ultimo capitolo della prima saga con assoluto protagonista Mel Gibson. Perché l’aridità che permea il “giro dell’oca” (usato, in senso non dispregiativo, per sintetizzare la trama che esporremo a breve più in dettaglio) sembra una sorta di metafora del moderno cinema action occidentale, incapace tranne rare occasioni (pensiamo alle scorribande vendicative di John Wick, alle sempre più rocambolesche avventure di Ethan Hunt / Tom Cruise o alle affini missioni di Jason Bourne / Matt Damon) di staccarsi da una medietà ormai figlia di certi sottogeneri, siano questi relativi a contesti automobilistici (Fast & Furious) o a imprese supereroistiche che stanno monopolizzando il blockbuster contemporaneo. E chi meglio di colui che aveva segnato una svolta monumentale per il genere, in particolar modo con il secondo episodio della trilogia originale ossia Interceptor – Il guerriero della strada (1981), poteva portare una ventata di freschezza e pura adrenalina in un panorama sempre più stereotipato?

Amatissimo dal pubblico, con incassi globali che hanno sfiorato i quattrocento milioni di dollari, e dalla critica (con tanto di vittoria di sei premi Oscar, per la maggior parte tecnici, su dieci candidature), Mad Max: Fury Road riporta il genere alle sue coordinate più grezze e genuine, facendo totale affidamento nelle dinamiche action sull’incredibile lavoro degli stunt: perché qui gli effetti speciali / digitali sono ridotti al minimo, e pressoché tutto ciò che accade su schermo è avvenuto realmente, con conseguenze anche gravi per alcune delle controfigure. Un approccio senza fronzoli che ha donato alle due ore di visione un esaltante fascino retrò, lontano dall’abuso dei green screen che troppo spesso caratterizza produzioni omologhe. Il risultato è pregno così di un’estetica assoluta e totalizzante che rapisce lo sguardo senza un attimo di sosta, tra esplosioni in serie, magistrali evoluzioni acrobatiche e uno sfruttamento intelligente e logistico delle location, la cui apparente monotonia è in realtà il campo perfetto per raccontare una storia che proprio della sua semplicità di fruizione fa il suo punto di forza, incurante di una verosimiglianza a tratti un po’ ballerina.

La trama di Mad Max: Fury Road, pensata (parole dello stesso Miller, anche sceneggiatore e produttore) come un reimagining, in pratica una rivisitazione dei capitoli originali, inizia con un nuovo Max (con il volto questa volta di Tom Hardy) che si trova a vagare solitario in un mondo allo sfascio dopo che una serie di catastrofi ha condotto al disfacimento della società come oggi la conosciamo. L’uomo, ex poliziotto che ha tragicamente perso la propria famiglia, finisce preda dei figli della guerra, un esercito di giovani guerrieri pittati agli ordini di Immortan Joe, un crudele signore locale a capo di una comunità che comanda a proprio piacimento per via delle riserve d’acqua (una rarità in quelle lande desertiche) sotto il suo controllo. Solo qualche ora dopo la cattura del protagonista, la combattiva Furiosa, membro di alto rango delle armate del villain, si trova alla guida di un’autocisterna ma devia dal percorso prefissato: la donna ha infatti nascosto all’interno del mezzo le cinque mogli, poco più che adolescenti, di Immortan Joe, nel tentativo di condurle alla salvezza in un misterioso eden. Accortosi dell’inganno, il boss dà il via ad un inseguimento di massa nel quale lo stesso Max rimarrà suo malgrado coinvolto: utilizzato come cavia da salassi per i figli della guerra, il prigioniero viene legato alla parte anteriore di una delle vetture pedinanti per continuare la trasfusione. Un’improvvisa tempesta di sabbia cambierà per sempre il corso degli eventi, e Furiosa e Max si troveranno obbligatoriamente ad unire le forze per tentare di sopravvivere.

Lo script è volutamente derivativo, semplice mezzo per garantire una cospicua quantità di scorribande di frenetica azione su schermo: durante i sempre più tortuosi eventi non mancheranno infatti sviluppi poco logici, ma questi finiscono immediatamente in secondo piano di fronte alla resa estetica di primissimo livello che ancor oggi, a quattro anni dall’uscita, non trova paragoni di sorta. Perché Mad Max: Fury Road è senza ombra di dubbio il miglior action del nuovo millennio per ciò che concerne l’impatto visivo, una vera e proprio apoteosi ludica che va dritta al sodo nella sua primigenia idea di cinema, tra istinti da revenge-movie e riferimenti proto-femministi. Non è un caso a tal riguardo che a rubare la scena in più occasioni sia proprio il personaggio di Furiosa, interpretata da una rasata e mai così tosta Charlize Theron, che ha scavalcato nelle preferenze del pubblico lo stesso Max e su cui da tempo si chiede uno spin-off a lei dedicato (progetto attualmente in sospeso così come i previsti sequel, anche se la situazione pare essersi recentemente sbloccata in positivo un paio di settimane fa). In una sorta di moderna odissea che unisce vecchia scuola e recenti tecnologie, passato e presente non solo di genere, e si offre anche a specchio di una società sfruttante le classi più povere in favore di pochi oligarchi, gli eroi di questa crociata anti-sistema si ammantano di significati pseudo divini, antieroi di un’epoca senza più sogni dove l’unica via per la libertà passa inesorabilmente dalla violenza.

Voto Autore: [usr 5]

Maurizio Encari
Maurizio Encari
Appassionato di cinema fin dalla più tenera età, cresciuto coi classici hollywoodiani e indagato, con il trascorrere degli anni, nella realtà cinematografiche più sconosciute e di nicchia. Amante della Settima arte senza limiti di luogo o di tempo, sono attivo nel settore della critica di settore da quasi quindici anni, dopo una precedente esperienza nell'ambito di quella musicale.

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