Di recente Mubi Italia ha reso disponibile nel suo catalogo L’ultimo metrò, film del 1980 diretto da François Truffaut. Riconosciuto dalla critica e dal pubblico come una delle opere migliori del regista francese, L’ultimo metrò è un film che ancora oggi ha molto da dire.
L’ultimo metrò: trama
Ambientato nella Parigi occupata dai nazisti, il film segue le vicende della compagnia del teatro Monmartre, in procinto di debuttare con un nuovo spettacolo. Al centro del film c’è la direttrice del teatro, Marion Steiner (Chaterine Deneuve), suo marito Lucas Steiner (Heinz Bennent), ebreo che ha finto la sua fuga ma che in realtà vive nascosto nella cantina del teatro, e Bernard Granger (Gérard Depardieu), attore di grande talento che segretamente collabora con la Resistenza.
L’ultimo metrò: analisi
Dopo Effetto notte, François Truffaut torna a raccontare da vicino il mondo dello spettacolo. Se nel film del 1973 la lente d’ingrandimento era puntata sul cinema, con L’ultimo metrò ci si sposta nel teatro. Il teatro è presentato già dai primi minuti come luogo salvifico, un’isola di speranza in quello che è il contesto bellico in cui si ambienta la vicenda. Lontano dall’estetica della nouvelle vague, Truffaut ricostruisce la Parigi occupata dai tedeschi interamente in studio e se da un lato si sente la mancanza di un paesaggio reale da cui lasciarsi avvolgere, dall’altra parte le scene all’esterno sono ridotte al minimo: la maggior parte della vicenda è ambientata tra le mura del teatro Montmartre.
La delimitazione dello spazio dell’azione assume una funzione di imprigionamento, per quanto riguarda il personaggio di Lucas Steiner, costretto nella cantina del teatro in quanto ebreo. Allo stesso tempo, però, questa delimitazione è anche una protezione per i protagonisti, che vedono nel teatro l’ambiente in cui possono essere se stessi. Il personaggio di Arlette (Andréa Ferréol) e Jean-Loup (Jean Poiret) sono un emblema di ciò: entrambi sono omosessuali e solo all’interno del teatro trovano l’accettazione che permette loro di essere se stessi.
E il teatro, come si diceva, diventa quindi uno spazio salvifico, non solo per chi vi ci lavora, ma anche per gli abitanti di Parigi che trovano negli spettacoli un riparo dalla sofferenza che dilaga per le strade.
La regia di Truffaut racconta questi personaggi che cercano un modo per sopravvivere alla tragedia, mettendo in scena attimi di vita quotidiana, piccole azioni e piccole tenerezze, come i momenti che Marion trascorre in cantina in compagnia di Lucas, o i frammenti in cui vediamo il piccolo Jacquot che coltiva piante di tabacco. Sono piccole azioni che, pur non contribuendo al progredire della storia, ci raccontano i personaggi e il loro modo di agire a quanto sta accadendo intorno a loro.
Non solo la scrittura e la regia ci permettono di entrare in confidenza con i personaggi, ma anche le interpretazioni degli attori, su cui emerge Catherine Deneuve nel ruolo di Marion. Deneuve regala una delle sue grandi interpretazioni (ricordiamo che quest’anno a Venezia le verrà dato il Leone d’Oro alla carriera), guidando un film che è per la maggior parte sulle sue spalle. Accanto a lei Gérard Depardieu, nei panni di Bernard, personaggio che, insieme a Marion Lucas Steiner condividerà verso la fine del film un triangolo amoroso. Riecheggia la stessa dinamica di Jules e Jim, anche se in L’ultimo metrò l’esito è indubbiamente meno tragico.
Si è tanto nominato Lucas Steiner, interpretato da Heinz Bennent, attore tedesco che per Truffaut veste i panni di un drammaturgo preciso e appassionato. Personaggio dall’indole pacata e dall’umorismo intelligente, si ritroverà ad un certo punto a cedere alla disperazione.
Ma così come in Effetto notte, anche qui i numerosi altri personaggi che compongono il ventaglio di questo film corale, hanno il proprio spazio e la propria importanza all’interno della vicenda, contribuendo con le loro bizzarrie e i loro punti deboli a dare forma all’anima della pellicola.
L’ultimo metrò: il teatro sullo schermo
L’ultimo metrò è un film sul teatro in tutti i sensi. In primo luogo perché al centro della storia c’è una compagnia teatrale, ma anche perché tutti i personaggi interpretano dei ruoli fin quando non sono costretti a smascherarsi. Quello che sembra dirci Truffaut è che in un mondo disperato come quello della seconda guerra mondiale, l’unico modo per sopravvivere è diventare qualcun altro, vivere più vite nello stesso momento.
Marion si presenta come una direttrice salda e tutta d’un pezzo, per poi rivelarsi una donna costretta a mentire pur di proteggere l’uomo che ama. Arlette e Nadina (Sabine Haudepin) nascondono il loro amore, fin quando non vengono sorprese all’improvviso. Bernard si finge donnaiolo e interessato al teatro, mentre in realtà collabora con la Resistenza e arriverà a decidere di lasciare il teatro pur di perseguire la causa.
I personaggi quindi mentono, indossano delle maschere e interpretano un ruolo sia nella vita vera, sia nel teatro. E il momento in cui il muro tra questi due mondi verrà abbattuto sarà nel finale: la guerra è finita, la Francia è stata liberata, Marion raggiunge Bernard in ospedale dopo tanto tempo. Bernard le dice di non amarla davvero e le chiede di andarsene. Ed è qui che il pubblico applaude ed emerge la verità: è una commedia del Montmartre, il primo grande successo da quando Parigi è stata liberata.
E così Marion, Bernard e Lucas vengono celebrati dagli applausi del pubblico: la tragedia di Jules e Jim viene qui evitata grazie alla fantasia del teatro, in un finale che sembra dire allo spettatore che quanto vede davanti a sé non è altro che una messinscena.