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Lie to Me: la recensione della serie crime con Tim Roth

Nel 2009 una serie colpì il pubblico per il suo approccio scientifico e perché non aveva avuto paura di unire psicologia e poliziesco per ottenere un mix di dialoghi intelligenti e vicende avvincenti (almeno per la prima stagione). Stiamo parlando di Lie to Me, la serie poliziesca ideata da Samuel Baum e realizzata dai produttori di 24.

La serie si basa sugli studi di Paul Ekman sulle microespressioni facciali.

Lie to Me trama

Lie to Me ha come protagonista il Dr. Cal Lightman, esperto di linguaggio del corpo e in particolare microespressioni facciali. L’investigatore ha studiato per anni, rimanendo per tre di questi nella giungla a studiare i comportamenti e il linguaggio del corpo di tribù primitive. È il capo di una squadra di investigatori, il Lightman Group, che utilizzano infatti i segni non verbali per scoprire la verità. Il team utilizza queste abilità per aiutare la polizia, il governo e le aziende a risolvere crimini, smascherare bugie e capire le vere motivazioni delle persone.

Lie to Me

Il cast della serie

Il carismatico e scaltro protagonista, il Dr. Cal Lightman, esperto in menzogne è interpretato da Tim Roth. Il resto del team formato dalla collega Gillian Foster, il più giovane Eli Loker e la nuova arrivata all’inizio dei primi episodi Ria Torres, ex poliziotta, sono interpretati rispettivamente da Kelli Williams, Brendan Hines e Monica Raymund. La figlia adolescente di Lightman, Emily, è Hayley McFarland. L’agente dell’FBI Ben Reynolds è Mekhi Phifer.

Lie to Me

Il punto di forza di Lie to Me

Lie to Me colpì inizialmente per l’approccio originale e unico alle indagini. Gli episodi infatti, per la prima stagione, non andavano ad affrontare dei casi che venivano risolti nella maniera più conosciuta, bensì attraverso i dettagli. Un sopracciglio alzato, un naso un po’ più arricciato, un sguardo sorpreso per il giusto tempo o per troppo tempo. Erano questi gli elementi su cui si basavano i personaggi per scoprire la verità.

Rispetto alla maggior parte delle serie crime, non si cercava di ricostruire il susseguirsi dei fatti attraverso un processo di causa-effetto tradizionale, bensì andando a guardare nell’intimità degli indagati. Seppur non possiamo considerarla una serie di tipo intimista, la psicologia era fondamentale. Il punto di vista è sicuramente scientifico, ma il focus sull’umano era certo.

Viene sottolineato e messo in primo piano il sentire e il volere umano come l’unico capace di smuovere gli eventi, in questo caso sempre drammatici e sconsigliabili. Non c’è né condanna né un’empatia giustificativa nei confronti dei colpevoli. C’è solo la constatazione spietata che per capire la verità, è inutile guardare ai fatti, bisogna guardare alla psiche e alle intenzioni.

L’approccio del team viene molto spesso ridicolizzato durante la serie, come se si trattasse più di intuizioni personali che di scienza. Il Dr. Lightman riesce sempre a dimostrare come sia invece l’approccio tradizionale privo di basi scientifiche e di solidità. Il pubblico ha apprezzato la serie all’inizio perché guardando imparava qualcosa. Perché non si sarebbe mai aspettato di capire di più sulla materia umana guardando un prodotto crime.

Tra indagini e vita personale

La serie viaggia parallelamente tra le indagini del team e le loro vite personali. I quattro sono ben consapevoli che le loro conoscenze non devono lasciare il posto di lavoro.

Le relazioni tra i personaggi sono quello che anima la serie, e la monotonia è spezzata infatti dall’alternanza tra le indagini e la sfera privata. I rapporti tra di loro enfatizzano tematiche esplorate nella serie, attraverso la psicologia, sui legami umani. La tensione è tenuta alta dalla consapevolezza che i quattro sono esperti di menzogne e del comportamento umano.

Gillian è la collega storica di Lightman, psicologa ed ex membro del team di psichiatri del Pentagono. La tensione fisica tra i due diventa sempre più evidente con l’avanzare delle stagioni, ma non è destinata a fare nascere nulla di concreto. Il loro rapporto smuove tematiche presenti nella serie sulla fugacità delle relazioni umane, almeno nella visione cinica di Lightman. L’esperto in menzogne non può che non affezionarsi a nessuno per rimanere in pace con sé stesso. Cal (magnificamente interpretato da un Roth carismatico fino alla nausea) viaggia continuamente tra la sorpresa di aver trovato un rapporto sincero e la paura di perderlo visto che la menzogna è sempre dietro l’angolo.

Il giovane Locker è invece aderente al suo movimento personale: la sincerità radicale. Non ha paura di prendersi le responsabilità dei suoi pensieri, consapevole della natura inconsistente delle menzogne. Ria Torres, la nuova arrivata nel team all’inizio della serie, è specchio del protagonista. Ria e Cal sono infatti gli unici ad avere il talento innato per le microespressioni. Impariamo quello che ci serve per sopravvivere, afferma Lightman a Ria, quando scopre che veniva picchiata da suo padre da bambina. La capacità di cogliere le sottigliezze dell’umano è un atto di sopravvivenza, una risposta a un dolore atavico.

Lie to Me

Lie to Me perché cancellato

Dalla seconda stagione in poi la serie ha cominciato a prendere una piega diversa. In parte per un cambio del team di sceneggiatori. Esperti in serie crime, che non erano avvezzi o interessati a scrivere vicende che includessero nozioni scientifiche, né erano interessati a parlare con Paul Ekman. Sommato a questo, Tim Roth ha cominciato a lamentarsi della difficoltà delle battute scientifiche, che a quanto pare erano un problema per molti attori, portandoli a dimenticarle.

Questi due fattori portarono la serie ad essere sempre meno sofisticata e più simile a qualunque altra serie crime. Le indagini non venivano risolte più con lo studio del linguaggio del corpo, man mano solo accennato, ma con il collegamento di fatti e vicende. Il pubblico era invece innamorato del sapore iniziale e intelligente di Lie to Me e dopo la terza stagione, il calo di ascolti ha portato alla cancellazione della serie.

Conclusioni

Lie to Me è una serie inizialmente ottimamente scritta e interpretata, ma che non ha saputo mantenere la continuità con un approccio ricercato, scientifico e umano, diventano col tempo la classica serie crime trita e ritrita.

Trailer

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Lie to Me ha come protagonista il Dr. Cal Lightman, esperto di linguaggio del corpo e in particolare microespressioni facciali. L'investigatore ha studiato per anni, rimanendo per tre di questi nella giungla a studiare i comportamenti e il linguaggio del corpo di tribù primitive. È il capo di una squadra di investigatori, il Lightman Group, che utilizzano infatti i segni non verbali per scoprire la verità. Il team utilizza queste abilità per aiutare la polizia, il governo e le aziende a risolvere crimini, smascherare bugie e capire le vere motivazioni delle persone. Lie to Me è una serie inizialmente ottimamente scritta e interpretata, ma che non ha saputo mantenere la continuità con un approccio ricercato, scientifico e umano, diventano col tempo la classica serie crime trita e ritrita.
Alessandra Pandolfini
Alessandra Pandolfini
Appassionata di cinema d’autore, senza disdegnare l’intrattenimento meno impegnativo. Il mio film ideale unisce la poesia di Tornatore, la commedia esistenziale di Allen e l’eccentricità di Tim Burton.

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