Kafka a Theran, del duo Ali Asgari Alireza Khatami, è un film del 2023, lucido ed ironico, capace di ritrarre un popolo sadicamente asfissiato dal proprio governo in nove esempi di vita comune, esempi che altrove non creerebbero problema alcuno, ma che in Iran sono oggetto di sanzioni e restrizioni.
Burocrazia di regime ed ostruzionismo codardo
Kafka a Theran confeziona istantanee paradossali di un regime, qualcosa di crudele e di non umano, seppur travestito da esercizio di burocrazia, un diario esplicito e significativo di quanto non si può fare nel paese, cronaca neanche tanto indiretta di un’oppressione prepotente, dell’ostruzionismo gradasso ed inerte, che declina la tirannia in ogni minimo ambito della vita civile, sociale, personale dell’individuo.
Attraverso nove quadri in cui si susseguono impietosi dialoghi tra un’esponente dell’autorità ed un cittadino comune, assistiamo al disvelamento tossico del potere liberticida, la cui natura bigotta, misantropa e misogina permea il più piccolo aspetto del vivere comune condizionandolo enormemente, sempre e solo in negativo.
Kafka a Theran – Trama
Si parte da un padre che non può scegliere il nome desiderato per il proprio figlio perché non arabo, né sacro, ma occidentale (David). Si prosegue con una bambina di sette-otto anni costretta a comprare per il primo giorno di rientro a scuola abiti che assomigliano a sacchi di veli destinati a coprirla quasi per intero.
C’è la giovane studentessa accusata di avere un fidanzato e minacciata di far sapere questo deprecabile fatto al padre e c’è la ragazza che viene fermata per aver guidato una macchina senza indossare il velo, nonostante lei ribadisca fosse il fratello con i capelli lunghi alla guida del mezzo.
C’è un colloquio di lavoro in cui il futuro potenziale capo mette pesantemente a disagio una trentenne, ed il tassista che deve rinnovare la patente sottoposto ad un’ inquisizione umiliante per ottenere un beneplacito di soli altri due anni.
Si prosegue con un uomo di mezza età che vende calzini in metropolitana cui viene fatta un’interrogazione sulla propria religione in un’azienda che, chissà, potrebbe assumerlo, ed un regista che si vede negata l’autorizzazione a girare il proprio film a meno che non cambi completamente storia, protagonisti, ruolo della polizia e titolo.
In conclusione troviamo un’anziana signora che si è vista portare via la propria amata cagnolina e che non riesce a riaverla indietro. L’epilogo è su un uomo anzianissimo che si addormenta o forse muore ad un tavolo di lavoro mentre attorno a lui tutto crolla in un terremoto di intensità enorme che sbriciola senza pietà lo skyline della capitale iraniana.
Kafka a Theran – Recensione
Kafka a Theran, presentato nella sezione Un Certain Reguard del Festival di Cannes 2023, ha ricevuto apprezzamenti e critiche positive, per la sua capacità di immergere lo spettatore in una comunità in cui ogni diritto ed ogni scelta personale sono questionabili, oggetto di limite o di permesso. Esiste un lasciapassare per esistere, ovvero un perenne controllo in atto che blocca il normale agire del singolo.
Si è costantemente sotto giudizio, per quale colpa non si sa, o se si sa è altamente arbitraria e le difese individuali, dalle più legittime alle meno consuete, partono sconfitte in partenza. Il nome personale non è scelta personale, il modo di vestire non è scelta personale, le frequentazioni delle donne non sono scelta personale, l’abitacolo di una macchina non è spazio privato, l’epidermide non è spazio privato, la preferenza letteraria, registica, artistica non è fatto privato, l’amore per un animale non è fatto privato, la religione non è fatto privato.
Pregiudizi di stato, precarietà dell’esistere e cultura del sospetto
Nel suo romanzo incompleto Il processo, Kafka immaginava un Jason K costretto a fronteggiare un processo infinito ed eterno per accuse mai definite realmente: la sua condizione sospesa, precaria, oggetto di insindacabile volontà altrui è la stessa condizione dei protagonisti dei nove quadri del film, tutti egualmente prevaricati nello spazio di diritti e autonomie che spetterebbero unicamente a loro stessi.
Le donne sono le più vulnerabili, perché da sempre costrette alla blindatura fisica, alla remissione nei confronti della volontà maschile, alla condotta morigerata che non desti remore e rumore. Non meno perseguitati sono gli uomini, per i più disparati ed insensati motivi: una religione che non conoscono a menadito, un tatuaggio non compreso, un gusto per la scrittura e l’arte non condiviso, una rappresentazione del reale che non combacia con i diktat splendenti istituzionali.
Persecuzione tanto nei confronti delle donne che degli uomini
Kafka a Theran è un film clandestino, girato in fretta e furia per scampare alla censura e alle inevitabili ripercussioni che hanno già fustigato i suoi creatori, arrivato in modo rocambolesco sulla soglia occidentale, a ricordarci la cecità e il malessere programmatico del dispotismo dogmatico e politico, assecondato, foraggiato, ignorato dal resto del mondo.
Le inquadrature sono praticamente fisse: al campo della vittima di turno, non si offre il controcampo inquirente, di cui ascoltiamo solo la sfilza di domande rituali ed irrituali ai danni del o della malcapitata, in una staticità globale che aumenta il grado di ferocia endemica della visione. Non si sfugge dall’impasse, non si scappa dalla trappola.
Inquadrature fisse, struttura dialogica, staticità che intrappola
Sullo sfondo ambienti anonimi, spopolati, uffici pigri, a volte un impiegato, sagoma tramortita di chissà quale funzione senza utilità, senza cogenza, senza anima. Un insieme di stanze, di porte, di corridoi, di pratiche, di perdite di tempo e denaro, che rosicchiano la dignità delle persone progressivamente.
Ogni tanto un rumore sinistro ferraginoso di ingombri metallici, giganteschi spostamenti che raschiano una qualche superficie e rimbombano, a rammentare e presagire che niente è stabile per sempre, e alla corrosione interna esercitata con zelo codardo, corrisponde un disfacimento terminale esterno che accadrà come grazia dal cielo.
Kafka a Theran – Cast
I volti dei personaggi coinvolti sono spesso interdetti, in attesa, con la propria baluginante normalità a chiedere in perenne remissione e silenzio il perché di una condotta non equa nei loro confronti, come se tutti fossero criminali, sbagliati, in torto a prescindere.
Kafka a Theran è un’opera che mostra il fianco ammalato e vile dell’egemonia, l’esercizio pedissequo del potere e della gerarchia, una perfetta e malinconica guida for dummies alle mediocri storture di un paese che vede spegnersi quotidianamente la sua bellezza.
Il titolo è un omaggio ad una poetessa rivoluzionaria e femminista, Forough Farrokhzad, un’umanista che seppe esaltare il proprio paese, e anche opporsi alla china in cui minacciava di cadere.