Avevamo già sottolineato in passato quanto fosse complesso produrre una trilogia in grado di mantenere una qualità costante in ogni sua incarnazione. Vale però la pena di ricordarlo ancora una volta, magari aggiungendo che ancor più arduo risulta comporre quella trilogia praticamente in contemporanea. Infine, bisognerebbe menzionare le difficoltà intrinseche nascoste dietro l’ombra prorompente di J.R.R. Tolkien, pronta a vigilare per scatenare a comando l’orda di amanti e fan sfegatati della serie, ben più pericolosa dei temutissimi Uruk-Hai.
Alla luce di tutto questo, l’opera di Peter Jackson sveste i panni della semplice trasposizione, per indossare quelli maestosi del sorprendente miracolo. Nonostante i tempi di produzione relativamente vicini, la trilogia del Signore Degli Anelli presenta capitoli ben distinti l’uno dall’altro, ma allo stesso tempo sarebbe impossibile considerarne uno lasciando in disparte gli altri.
Mentre però il distacco tra La Compagnia dell’Anello e Le Due Torri appariva evidente, il confronto tra la seconda e la terza pellicola sembra assottigliarsi fino a diventare invisibile. Eppure, se quest’ultimo capitolo fosse soltanto una calcolata prosecuzione del suo predecessore, faremmo fatica a spiegare la cerimonia degli Oscar del 2004, quella in cui Il Ritorno del Re strappò letteralmente dalle mani degli altri tutte le statuine disponibili.
Dunque?
Isengard è caduta. Merry e Pipino siedono tra le sue rovine con la pace in viso e la desolazione attorno. È stato proprio Pipino, armato della proverbiale astuzia che contraddistingue gli Hobbit, a scatenare gli Ent contro lo stregone Saruman. Un nemico è stato sconfitto. Manca l’altro. Quello vero. Fallito l’assedio del Fosso di Helm, l’Oscuro Signore non esita a scagliare i suoi orchi contro Minas Tirith e ben presto diventa chiaro a tutti che per sventare la minaccia serviranno ancora molte imprese.
Più che nel ferro delle migliaia di soldati pronti a difendere la capitale di Gondor, la speranza vera risiede nell’oro freddo che compone l’Unico Anello, e nella forza incrollabile che il piccolo Frodo dovrà dimostrare per poterlo finalmente disgregare. In questo senso, Il Ritorno del Re appare come un insieme di ramificati percorsi che pur lambendosi in continuazione, non arrivano a sfiorarsi se non alla fine. Le forze della Compagnia, pur silenti, continuano ad agire senza mai fermarsi, disegnando un affresco pieno di vicende che un passo alla volta arriveranno al compimento.
Come per Le Due Torri, Peter Jackson si appropria nuovamente dei minuti iniziali per dedicare qualche scena al passato. Il protagonista di questo cantuccio diventa, non a caso, il tormentato Gollum, reso celebre dalla strepitosa interpretazione di Andy Serkis. Sarà lo stesso Gollum a portare avanti il processo di evoluzione psicologica di Frodo e, di conseguenza, del suo rapporto con il fidatissimo Sam, per lunghi tratti considerabile come l’eroe meno gratificato della Terra di Mezzo.
Il legame tra i due Hobbit, apparentemente rafforzato al termine del secondo capitolo, dovrà affrontare non solo l’influenza devastante dell’Anello, ma anche i subdoli tentativi di Gollum, ormai convinto che solo la divisione dei due protagonisti potrà restituirgli il suo “tesoro”. In questo scontro, sarà proprio l’anima colpita di Sam Gamgee a brillare di luce propria, mettendo in mostra sentimenti ed emozioni che avrebbero probabilmente stonato se rappresentate altrove.
Nonostante la poca presenza nella parte iniziale della pellicola, i membri dell’originale Compagnia riconquisteranno molto presto il loro spazio. Mentre però Gimli, Legolas e persino Gandalf non saranno troppo diversi da come li ricordavamo, toccherà al personaggio di Viggo Mortensen affrontare un importante cambiamento. Afflitto dalla mancanza di Arwen ed oppresso da un destino tanto altisonante quanto incerto, Aragorn risulta molto diverso dal Ramingo gioviale apparso in precedenza. In sostanza, l’interpretazione di Mortensen colpisce e sorprende, trasformando le affabili espressioni facciali del passato in uno sguardo deciso e ostinato, ma sempre carico di purissima umanità.
Se la Battaglia del Fosso di Helm aveva mostrato la magniloquenza degli effetti speciali, con Il Ritorno del Re tutto sembra espandersi come una densa macchia d’olio. Fedele al concept delle Due Torri, anche il Ritorno del Re si presenta come un film di guerra. Anzi, per alcuni aspetti quell’anima bellicosa sembra diventata ancor più accentuata. Eppure, l’atmosfera che respiriamo appare subito diversa. Qui siamo vicini al termine. I combattenti, da entrambe le parti, paiono trascinarsi verso la battaglia con irruenta disperazione, come se avvertissero l’odore della fine filtrare lento in lontananza.
Il risultato è che la suspence, già palpabile in precedenza, assurge a compagna inesorabile per tutta la seconda parte del film, non concedendo compromessi né tanto meno sporadiche tregue.
A livello scenografico, Il Ritorno del Re rappresenta la summa estrema della trilogia. Da una parte, la candida e pulitissima Minas Tirith, dall’altra il tenebroso ed inquietante regno di Mordor. In mezzo, tutto il resto. Da Minas Morgul, al Monte Fato, passando per La Contea. Un vero e proprio gioco delle comparse. Solo che stavolta le “comparse” non sono personaggi, bensì una moltitudine immensa di luoghi eccezionali.
Anche le musiche fanno un passo ulteriore. Fondendo i ritmi incalzanti delle Due Torri con le melodie ormai divenute leggendarie, il risultato è un apparato sonoro più equilibrato e variegato, in grado di accompagnare ogni situazione senza mai risultare ridondante.
Spostando lo sguardo ed allontanandolo dal particolare, la visione del Signore degli Anelli acquista un valore ancora maggiore. Ogni vicenda accennata e raccontata trova il proprio spazio nel finale, ricongiungendosi al resto come se da esso non si fosse mai allontanata. E alla fine dei giochi, è qui che risiede il grande capolavoro compiuto da Peter Jackson e la sua squadra. Non solo rendere al meglio un’opera di difficilissima interpretazione. Non solo offrire ad un pubblico diverso un’esperienza perfettamente autonoma rispetto ai romanzi tolkieniani.
Ma soprattutto aver creato, o meglio ricreato, una trilogia che pur rimanendo tale, resta fedele al proprio essere un unico, immenso, profondo e bellissimo viaggio. Perché in fondo, nonostante gli anni trascorsi, è ormai chiaro a tutti che La Compagnia dell’Anello, a prescindere dall’Anello, non si scioglierà mai.