Look closer… ci suggerirebbe Sam Mendes con il suo American Beauty. A distanza di venticinque anni dal proprio folgorante esordio con Il giardino delle vergini suicide, Sofia Coppola sembra suggerisci altrettanto. Guardate meglio, osservate oltre le apparenze, oltre il glamour e la patina artefatta del sogno americano. Oltre i corpi idealizzati e modellati delle sorelle Lisbon. Osservate come la superficie si lacera ed emerge la vittoria di un sistema che sconfigge ogni malinconia. Semplicemente, guardate da più vicino. Analizziamo dunque cosa ci rimane ad oggi del film cult della regista californiana.
Il giardino delle vergini suicide – Trama
Nel 1975, in un sobborgo del Michigan le cinque figlie adolescenti della famiglia Lisbon si tolgono la vita. La prima a “spargere il virus dell’infelicità” é Cecilia (Hanna R. Hall), la più piccola. Dopo di lei Mary (A.J. Cook), Lux (Kirsten Dunst), Therese (Leslie Hayman) e Bonnie (Chelse Swain) ne seguiranno il gesto disperato. “C’era tutto l’amore, non ho mai capito perché”, concluderà la sconfortata voce fuori campo della madre (Kathleen Turner) nel finale del film.
Il giardino delle vergini suicide – Recensione
Presentato al Festival di Cannes 1999 e tratto dal romanzo omonimo di Jeffrey Eugenides, Il giardino delle vergini suicide é un film di rara bellezza e maturità per trattarsi di un esordio. Prediligendo un’estetica onirica e sospesa, il film é un teen drama che trascende il tempo e lo spazio consegnandolo all’eternità. Un’immortalità conferita dalla rilettura dei tòpoi, di icone e cliché cha da sempre hanno popolato questo cinema. Sofia Coppola ci regala un lungometraggio che – come avverrà in tutta la sua filmografia successiva – esplora la dimensione femminile nella sua intimità fragile, complessa e, oltretutto, fraintesa.
Sono due gli spazi dove tale femminilità può esprimersi: quello dell’abitazione e quello scolastico. Il primo, squisitamente personale, si configura come un tempio luccicante dove ognuna delle sorelle detiene il proprio altare votivo fatto di feticci, peluche, memorie. L’altro ambiente, quello della scuola, é aliena quanto eccitante. In questa dimensione plurale, collettiva, le ragazze hanno modo di sperimentare – seppur brevemente – la propria maturità, l’essere adulte per almeno un momento. L’emanciparsi da quella dimensione famigliare e soffocante dove nessuna ha il consenso di essere donna.
L’ambiente scolastico é sottoposto al male gaze che plasma le ragazze come soggetti passivi e bidimensionali. Tuttavia, sebbene la narrazione della voce narrante sembra quasi volersi sostituire a quella delle sorelle, la regia delicata ma sapiente di Coppola si erge a grido unitario delle Lisbon.
Pensiamo all’inquadratura di apertura del lungometraggio: nessuna voce fuori campo, solo l’eloquenza delle immagini. Sarà il nostro primo incontro con Lux. La strada del sobborgo in autunno, la giovane si gusta un ghiacciolo. Una costruzione che echeggia a Lolita ma che Coppola immediatamente rovescia. Non ci si sofferma sui dettagli morbosi della bocca, della sovrastruttura legata all’atto orale. Lux lo consuma rapidamente, voracemente, con fare poco aggraziato.
La seguente inquadratura é quella di un irrigatore. Niente ragazze bagnate a favore di camera, niente male gaze. La regia é la voce delle sorelle Lisbon che si riappropriano della loro storia a sfavore di quanto ricostruito dai ragazzi del film che finiscono per renderle figure agiografiche, delle Madonne (complice anche la fisicità delle ragazze).
Le ragazze si sottraggono da questo sguardo piatto, ne sono consapevoli e ce lo lasciano intuire. A differenza dei loro coetanei che tanto le hanno osservate senza nulla cogliere, loro li sanno guardare oltre come ci attesteranno le pagine di Cecilia. Look closer…
Complice un’estetica onirica, da sogno, le Lisbon sono il frutto di una fantasia maschile che le racconta a proprio piacimento (si pensi alle storie costruite intorno ai presunti flirt di Lux). La volontà di controllo della narrazione da parte dei ragazzi é spesso – se non sempre – contraddetta dalla messa in scena, dalla regia. Loro idealizzano, Coppola mostra. Esternamente le Lisbon sono l’apogeo dell’american dream, delle dee. Internamente sono ragazze sole, oppresse da una famiglia che ha reso quel sogno un incubo.
L’immaginario e l’estetica di Sofia Coppola
Incapaci di autodeterminarsi in qualità di individui senzienti, l’unica possibilità di emancipazione per le sorelle é la scelta del suicidio collettivo. Cecilia non ha solamente instillato il germe della malattia ma ha reso evidente la via di fuga, la strada verso l’età adulta negata, l’autodeterminazione. Quello di Coppola é un film sui fantasmi.
Spettri che entrano in contatto con i vivi in maniera autentica unicamente attraverso il diario di Cecilia che, per la prima volta, le mostra concretamente ai ragazzi. Non più filtrate. Se nel romanzo Eugenides racconta, Sofia Coppola lascia raccontare. La prima esperienza sessuale di Lux non é raccontata da Trip – la sua cotta – bensì da lei stessa. Dalla sua umiliazione al risveglio sola nel campo di rugby, al ritorno a casa malinconica, ferita. La coroncina da reginetta del ballo abbandonata tra le labbra. La festa é finita, il ritorno alla prigionia é angosciante.
Il film si conclude inquadrando il cielo. Lo stesso, che all’inizio del lungometraggio ospitava una bellissima e viva Lux con le sorelle. Adesso non c’é più nulla. Rimangono solamente foglie secche ed alberi ammalati, che devono essere abbattuti. L’olmo dinanzi a casa Lisbon é stato reciso. Il germe dell’insoddisfazione stroncato prima che possa diffondere il malessere nel quartiere. Una metafora pregna che ci angoscia e ci lascia sgomenti.
«Nel corso degli anni sono state dette tante cose sulle ragazze, ma non abbiamo mai trovato una risposta. In fondo non importava la loro età, né che fossero ragazze. La sola cosa che contava è che le avevamo amate e che non ci hanno sentito chiamarle e ancora non ci sentono che le chiamiamo perché escano dalle loro stanze dove sono entrate per restare sole per sempre e dove non troveremo mai i pezzi per rimetterle insieme».