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Il generale Della Rovere (1959): il ritorno di Rossellini al cinema resistenziale

Su RaiPlay è possibile trovare la versione restaurata di un classico del cinema italiano: Il generale Della Rovere (1959).

Un’opera che, assieme a Era notte a Roma (1960), sancì il breve ritorno di Roberto Rossellini alle tematiche resistenziali e sociali tipiche del periodo neorealista.

Nel 1959 Il generale Della Rovere venne presentato a Venezia dove vinse il Leone d’Oro ex aequo con La grande guerra di Monicelli e il premio della Giuria Cattolica, che ne garantì una distribuzione privilegiata all’interno delle sale parrocchiali, alimentandone il successo.

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Quest’anno Il generale Della Rovere compirà sessantacinque anni e rimane a tutti gli effetti un prezioso gioiello che insegna a non dimenticare.

Il generale Della Rovere: trama

Genova, autunno 1944, sotto la Repubblica di Salò.

Giovanni Bardone (Vittorio De Sica) è un truffatore di origini campane che ama le donne e il gioco d’azzardo. Facendosi passare per ingegnere, o colonnello Grimaldi, passa le giornate approfittandosi della precarietà e della disperazione della gente, coadiuvato da un sottoufficiale della Wehrmacht. Un giorno una delle sue ultime vittime, fiutato l’inganno, ordisce una trappola, facendo in modo che le forze dell’ordine lo catturino.

Condotto al cospetto del colonnello Muller (interpretato dal grande caratterista, Hannes Messemer), per ottenere una via d’uscita dalla brutta situazione, Bardone accetta di collaborare a un piano del gerarca nazista, finalizzato allo smantellamento delle forze partigiane. Si fa quindi trasferire a San Vittore sotto la falsa identità del generale Della Rovere, ufficiale badogliano da poco ucciso, incaricato di incontrare Fabrizio, uno dei capi della resistenza, così da coordinare gli attacchi assieme agli Alleati stanziati nel centro-sud.

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Inizialmente Bardone sta al gioco, ma di fronte al coraggio dei prigionieri e alle disumanità commesse nei loro confronti dai nazisti, finirà per vacillare.

Un film che ancora oggi si scontra con alcune critiche ingiuste

L’uso del proverbio latino “decipit frons prima multos” (“la prima impressione spesso inganna”) si addice alla panoramica sui giudizi che, ancora oggi, accompagnano Il generale Della Rovere.

Infatti, nonostante i premi ricevuti dal film e le parole di ammirazione spese nei suoi confronti da colleghi illustri di Rossellini, come Pier Paolo Pasolini, molti critici continuano a definirlo “un’opera su commissione”, non riuscendo a coglierne la vera bellezza.

Questa posizione semplicista si fonda sul fatto che Rossellini, al tempo residente a Parigi, decise di realizzare il lungometraggio, sottostando a una chiara condizione impostagli dal produttore Mario Ergas: quella di presentare l’opera a Venezia. Nonostante il film fosse coperto da un sicuro co-finanziamento italo-francese, è innegabile che la richiesta di Ergas determinò la ristrettezza dei tempi di lavorazione, ma è anche vero che ciò non compromise assolutamente il risultato.

Fu proprio il modo in cui Rossellini gestì le risorse e il tempo a disposizione a fare de Il generale Della Rovere un film estremamente interessante da analizzare.

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Una sceneggiatura complessa nata dal confronto di prospettive

La complessità del film va ricercata innanzitutto nella sceneggiatura. Tratta dal racconto omonimo di Indro Montanelli, venne scritta a sei mani dallo stesso Montanelli, coadiuvato da Diego Fabbri e Sergio Amidei. Tre figure di estrazioni ideologiche differenti. Montanelli, futuro fondatore de Il Giornale, rappresentava la destra liberal-conservatrice italiana, nonché colui che aveva vissuto in prima persona la prigionia all’interno del carcere San Vittore, dove ebbe modo di conoscere Fortebraccio Della Rovere, figura a cui si è ispirata la caratterizzazione del protagonista del film di Rossellini. Fabbri era un cattolico convinto. Amidei, invece, all’interno del trio, rappresentava il punto di vista della sinistra-sociale.

Questa concomitanza di prospettive differenti rispecchiava a pieno l’idea, tanto cara a Rossellini, di una narrazione fondata sul confronto. In questo modo il risultato non poteva che essere arricchito di sottotesti narrativi tutt’altro che semplici e usuali.

La rilettura della storia attraverso il paradigma religioso è uno dei tanti e forse il più prominente. La posizione cattolica di Fabbri si fonde perciò con quella sociale di Amidei. In tal senso Emanuele Bardone altro non è se non un miscredente travolto da un percorso di redenzione e conversione ideologica, che non differisce poi così tanto dal suo corrispettivo religioso. A testimonianza di tutto ciò è esemplare la sequenza in cui il protagonista assiste impotente alle brutalità della tortura, incise sul corpo del compagno di cella Banchelli. La splendida messa in scena riporta la mente alle figurazioni dell’Ecce Homo, mentre la salma inerme, flagellata dalle percosse, che viene adagiata a braccia aperte, ricorda il Cristo in croce. Di fronte a questa visione Bardone comprende il senso del sacrificio. Il suo disinteresse comincia così a lasciare spazio al coraggio insito nell’abnegazione per un ideale più grande.

Nella forma il compromesso tra passato, presente e futuro

Il generale Della Rovere a livello formale è quasi un unicum nel panorama della cinematografia italiana. L’approccio di Rossellini esemplifica a pieno la volontà di scendere a compromessi tra passato, presente e futuro.

La tendenza tipica del cinema neorealista di essere il più fedeli possibile alla rappresentazione del reale e della storia viene tradotta in modo particolare. Tuttavia, nel ’59 l’Italia non era più disseminata di macerie come nel ’45, anno di Roma città aperta, e la possibilità di ricreare uno spazio credibile per le strade sarebbe stato dispendioso e non avrebbe permesso di rispettare i tempi richiesti dalla produzione. Rossellini aggira il problema, scegliendo di utilizzare del materiale d’archivio. Lo inserisce in punti specifici della storia, compensando il carattere artificiale delle scenografie realizzate in studio. Un espediente estremamente intelligente, che denota un’assoluta consapevolezza dei mezzi a disposizione. Il dialogo tra passato e presente si traduce in una realtà diegetica veramente affascinante.

Come se non bastasse Rossellini sceglie anche di innovarsi attraverso l’utilizzo dello zoom. Il generale Della Rovere è, per l’appunto, il primo film in cui il regista decide di adoperare questa tecnica, cogliendone le potenzialità. Lo zoom permette di ridurre il lavoro in post-produzione, ma anche di valorizzare e stimolare gli attori. Al contempo la continuità di ripresa e l’assenza di stacchi enfatizzano la parvenza di realtà.

Il rapporto tra individuo e spazio

Ne Il generale Della Rovere anche l’individuo e lo spazio sono rapportati l’un l’altro in modo da accentuare i messaggi che il film vuole trasmettere.

Scomponendo la sceneggiatura, si possono identificare due macro-sezioni.

La prima all’aperto ci presenta un mondo logorato dalla guerra. Bardone sfrutta le proprie abilità per adattarsi e si muove tra gli spazi come un furbo gatto randagio. Ma proprio come un gatto randagio è una persona sola e il caos che lo circonda non può che finire per alimentare questa sua solitudine. L’unica persona che lo conosce veramente è Olga, interpretata da Sandra Milo (al tempo compagna del produttore Mario Ergas). Nelle sue parole capiamo che dietro il truffatore che è Bardone in realtà si nasconde un uomo buono, capace di regalare momenti di gioia alle persone.

Le seconda invece viene ambientata all’interno del carcere. Tra le mura penitenziarie Bardone riscopre se stesso. La galera diventa paradossalmente la “casa” dove per la prima volta dopo tanto tempo il protagonista comincia a sentirsi parte di qualcosa, di una “famiglia”. Le regole ferree della galera annullano la confusione esterna e, la forza, di coloro che lo abitano, non può che appassionare anche Bardone.

Nel susseguirsi di questi ambienti Rossellini non smette mai di enfatizzare la spazialità con la macchina da presa. A volte raggiunge i personaggi dopo aver mostrato il mondo che li circonda, altre li abbandona per soffermarsi sulla realtà in cui sono malcapitati.

Il generale Della Rovere e il tema del muro

Il generale della rovere

Una realtà che più volte rivela un elemento costante: il muro. Il più famoso è quello della cella di Bardone, in cui il protagonista legge sconvolto le ultime parole dei condannati, ma non è l’unico. Fin dalla prima scena vediamo il profilo di De Sica scorrere su un muro tappezzato di propaganda e leggi fasciste. Solo chi si attiene a esse o riesce ad aggirarle può sopravvivere. Allo stesso modo, come in una struttura circolare, nella scena della fucilazione gli oppositori sono allineati di fronte a un muro decorato con un grande affresco, che rappresenta varie città di un’Italia divisa in due. Il messaggio è silenzioso, ma visivamente chiaro e potente. Il sacrificio di tutti è finalizzato a riavere un Paese unito.

Il sottile carattere metacinematografico de Il generale Della Rovere

L’ultimo aspetto interessante è il sottile carattere metacinematografico del film.

Lo stesso Rossellini scende in campo per enfatizzarlo, apparendo in un cameo all’interno della caserma, ma è l’interpretazione di De Sica che sottolinea più di qualsiasi cosa questo aspetto.

Vittorio De Sica indossa le vesti di un personaggio pirandelliano. Bordone cambia maschera continuamente e proprio come un attore inganna le persone sulla propria identità. Quando Muller lo spoglia agli occhi delle sue vittime, De Sica sembra inscenare un vero e proprio spettacolo teatrale. Secondo questa lettura, la sua stessa metamorfosi identitaria nel generale Della Rovere non può che essere l’ultima grande prova di un grande attore, che, passando la vita a ingannare gli altri a fin di male, finisce per ingannare se stesso a fin di bene.

Il generale della rovere

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Il generale Della Rovere segna il ritorno di Rossellini alle tematiche resistenziali. Un film che ancora oggi aiuta a ricordare le brutalità della guerra e il coraggio degli oppositori. Nonostante alcuni continuino a definirlo “un’opera su commissione”, dopo un’attenta analisi si rivela un gioiello ancora oggi prezioso per l’intera filmografia italiana. A tutto questo va aggiunta una splendida interpretazione di Vittorio De Sica, che é rimasta indelebilmente incisa negli annali della cinematografia.
Riccardo Brunello
Riccardo Brunello
Il cinema mi appassiona fin da quando ero un ragazzino. Un amore così forte che mi ha portato ad approfondire sempre di più la settima arte e il mondo che la circonda. Ho un debole per i film d’autore e per il cinema orientale, ma, allo stesso tempo, non riesco a fare a meno di un multisala, un secchio di popcorn, una bibita fresca e un bel blockbuster.

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