Il cattivo poeta: recensione del film di Gianluca Jodice con Sergio Castellitto
La prima cosa che salta all’occhio di Il cattivo poeta, film di Gianluca Jodice, è la cura filologica nel ricostruire il contesto storico dell’Italia degli anni ’30. Già dalle primissime immagini emerge un’attenzione notevole nel calare la storia in un momento storico ben preciso.
Tutto, dalle ambientazioni ai costumi, fino alla fotografia ci cala nel “quando” in cui gli eventi narrati in questo film sono avvenuti. Merito di questa cura è sicuramente anche la presenza di Matteo Rovere (produttore e regista, tra gli altri, de Il primo re, da cui Il cattivo poeta ha ripreso anche Daniele Ciprì come autore della fotografia) tra i produttori.
Il film su Gabriele D’Annunzio
È la prima grande sorpresa del film, che dimostra un profondo rispetto per la materia storiografica di partenza. La seconda grande sorpresa è che, al contrario delle aspettative, Il cattivo poeta non è un film su Gabriele D’Annunzio. Il poeta vate c’è, è presente, tutti i personaggi parlano di lui, lo nominano in continuazione, ma in fin dei conti D’Annunzio non è che il pretesto per raccontare un momento storico, lo stesso raccontato dalle immagini, ovvero il periodo appena precedente alla seconda guerra mondiale, quando il fascismo si occupava di stringere i suoi rapporti con la Germania, nonché di mettere a tacere gli oppositori.
Il cattivo poeta: la trama
Il film racconta tutto questo, attraverso gli occhi e le parole di personaggi molto diversi tra loro, le cui idee non fanno che entrare in contrasto in ispirati confronti dialettici. Al centro di tutte queste idee, c’è quello che è il vero protagonista del film, Giovanni Comini, interpretato da Francesco Patanè. Questo giovane federale fascista, ammiratore di Mussolini, è colui che nel corso del film, incontrando D’Annunzio, attraverserà l’evoluzione più significativa.
È anche il personaggio con cui noi entriamo più in confidenza e che seguiamo per più tempo sullo schermo. Attraverso la sua persona conosciamo anche D’Annunzio, che arriva a vestire i panni di un mentore, il trampolino vero e proprio dell’evoluzione di Giovanni. A tutti gli effetti si potrebbe dire che Il cattivo poeta parla di redenzione.
La recensione del film
Il personaggio di D’Annunzio, pur apparendo meno di quanto si potrebbe credere, lascia comunque il segno. Sergio Castellitto offre un’interpretazione di alto livello, vestendo abilmente i panni di un uomo deluso dal mondo che lo circonda e motivato a tentare il tutto per tutto per evitare la rovina che è in arrivo. Le frasi da lui pronunciate sono quelle che rimangono più impresse dopo la visione del film, merito anche di una sceneggiatura che, pur concedendosi a qualche momento retorico, cura ogni aspetto della vicenda con abilità.
Il suo D’Annunzio è un personaggio disilluso, saggio, avvolto da un’aura di austerità e al contempo caratterizzato da un’eccentricità che in più punti ne mette in evidenza una natura comica. Quando però c’è lui in scena il film ne esalta con le immagini l’importanza storica, tanto che prima di mostrarcelo per la prima volta nella sua interezza, ce lo mostra di spalle, come ad accrescere l’attesa nello spettatore.
La regia, quindi, enfatizza l’importanza che D’Annunzio ha per la storia e per tutti i personaggi. Gianluca Jodice, qui al suo primo film di finzione, dimostra di padroneggiare la macchina da presa, raccontandoci con le immagini il sentimento di un paese che vive in contraddizione, spinto da una parte ad un’accettazione degli ideali fascisti e dall’altra ad un tentativo di disobbedienza.
Questi sentimenti divergenti sono raccontati dai campi lunghi e dai movimenti di macchina che esaltano l’architettura dei palazzi del fascismo – esaltazione che si accompagna all’ammirazione di Giovanni Comini per quegli ideali – nonché dall’evidente parallelismo tra i solenni comizi di Mussolini e quelli sicuramente meno seguiti di Gabriele D’Annunzio. È proprio in uno di questi momenti che Castellitto dà il meglio di sé, incarnando nello stesso momento sia la delusione, sia la speranza che ci possa essere un’ultima possibilità di cambiare le cose.
Se però l’interpretazione di Castellitto è notevole, purtroppo non si può dire lo stesso per i comprimari, a partire proprio da Francesco Patanè. Essendo lui il personaggio protagonista, è ancora più evidente come troppo spesso la sua recitazione non sia all’altezza del suo ruolo. Lo stesso vale per altri personaggi secondari, cosa che purtroppo abbassa il livello di immedesimazione dello spettatore nella vicenda raccontata.
Il finale amaro
Il film si conclude con un finale amaro, che non lascia speranze, se non quella di una redenzione da parte del protagonista. Finito il film, una delle immagini che restano in mente è una delle più ispirate del film: quella in cui, mentre uno dei personaggi profetizza l’imminente catastrofe che si sta per abbattere sull’Italia, sullo sfondo vediamo l’avvicinarsi di un temporale. È un’immagine semplice, ma che trasmette un’inquietudine che le immagini del film, prima ancora delle parole, riescono a rappresentare.