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Full Monty – la recensione del cult inglese

Nel 1997 il pubblico prima inglese e poi internazionale assiste alla nascita di un prodotto di culto, una commedia apparentemente al pari di tante altre ma che nasconde un potenziale tale da renderlo, con il passare degli anni, un vero e proprio nuovo classico del cinema recente. Si tratta di Full Monty, in italiano distribuito con l’aggiunta del sottotitolo Squattrinati organizzati. Il film, diretto da Peter Cattaneo al suo esordio registico, è anche la prima esperienza in sede di sceneggiatura per l’autore Simon Beaufoy, che successivamente firmerà anche gli script di prodotti del calibro di The Millionaire (Boyle, 2008) o di lungometraggi più pop come Hunger Games: La ragazza di fuoco (Lawrence, 2013). Curiosamente, alla produzione del film si colloca l’italiano Uberto Pasolini. Agli Oscar del 1998 la commedia ottenne quattro nomination, per miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e quella (poi vinta) per miglior colonna sonora.

Full Monty

La trama del film

Alla metà degli anni Novanta, l’ex-fiorente zona industriale del sud dello Yorkshire inglese inizia a vivere delle forti battute d’arresto in termini di produttività, che si traducono in numerosi licenziamenti di impiegati e operai. La disoccupazione è alle stelle, e gli ex-lavoratori si vedono costretti a diventare perdigiorno che coltivano hobby riscontrando però non pochi ostacoli nel mantenimento delle proprie famiglie. È questo il caso, infatti, di Gaz (Robert Carlyle) e Dave (Mark Addy): in difficoltà nel rapporto coniugale il secondo e impossibilitato a pagare all’ex moglie il necessario per il mantenimento del figlio il secondo.

Vedendosi economicamente alle strette, e realizzando per giunta di star perdendo il rispetto e l’apprezzamento filiale, per guadagnare soldi facili in tempi brevi Gaz decide di cavalcare l’onda della moda dello spogliarello maschile, particolarmente in voga in quegli anni. Insieme a Dave, decide dunque di mettere insieme un ensemble di spogliarellisti dilettanti che si compone dell’elegante e più borghese Arthur (Tom Wilkinson), del disperato Lomper (Steve Huison), dell’entusiasta Horse (Paul Barber) e del prestante Guy (Hugo Speer), disoccupati altrettanto in difficoltà. Per il gruppo di dilettanti allo sbaraglio, però, le difficoltà non tarderanno ad emergere, e la buona riuscita dello spettacolo che dovrebbe riuscire a rinsaldare le loro finanze sarà ostacolata sia da contingenze esterne che dalle difficoltà che essi stessi riscontreranno ad approcciarsi all’attività.

Full Monty

Full Monty – la recensione del film e dove vederlo

Non c’è dubbio alcuno che un film come Full Monty (traduzione inglese dell’espressione “nudo integrale”, più volte pronunciata nel film) abbia costituito e tutt’oggi costituisca un gradevolissimo punto fermo nella storia del cinema recente, e le cause del suo successo di pubblico e di critica sono molteplici. Come testimoniano le numerose nomination agli Oscar sopramenzionate, la maggior parte delle quali peraltro in categorie di primissimo piano, la commedia in questione non costituisce solo un fenomeno prettamente popolare ma anche un prodotto qualitativamente apprezzabile e apprezzato, il che appare un traguardo ancor più degno di nota se si considera lo statuto di esordiente sia del regista che dello sceneggiatore.

Probabilmente, su un piano complessivo, la fortuna di Full Monty è data dalla sua capacità di inserirsi in un discorso socio-politico complesso e stratificato con una leggerezza tale da indorare la pillola per qualsiasi tipo di spettatore, al contempo però riuscendo a non distogliere mai l’attenzione dall’urgenza delle dinamiche concettuali che porta sul grande schermo. Perché, come spesso accade per le grandi commedie, anche dietro il film di Cattaneo si nasconde (senza volersi neanche nascondere troppo, in realtà) una rete complessa di critiche sociali e in un certo qual modo anche politiche, che a più di vent’anni di distanza risultano ancora fresche e lodevoli, determinando il peso di un lungometraggio ben riuscito.

Certamente, sul piano più concreto e immediatamente percepibile della trama si posizionano i riferimenti socio-politici più chiari della condizione dei lavoratori, della crisi lavorativa e industriale dell’Inghilterra degli anni Novanta, ma anche quelli della dimensione relativamente nuova delle famiglie divorziate con figli, e della difficoltà che genera l’intrecciarsi di questi due filoni tematici, elemento anche oggi ben presente ma forse percepito con più urgenza e immediatezza dal pubblico soprattutto inglese dei Nineties.

Ma la fortuna di Full Monty risiede probabilmente in un piano concettuale più ampio, per quanto altrettanto importante e concreto. Scherzosamente, e con un’ironia dalla qualità invidiabile che permette a concetti così complessi di scivolare senza difficoltà nelle menti del pubblico, il film problematicizza la figura maschile mettendone in discussione uno dei pilastri, quello costituito dall’elemento della virilità. In un certo qual modo – come poi avrebbe fatto qualche anno dopo, in termini del tutto differenti e con toni ben più drammatici, l’altrettanto inglese Billy Elliot di Stephen Daldry – la commedia attribuisce ai suoi protagonisti una serie di caratteristiche, di pregi e difetti, e anche di attività (le insicurezze, il ruolo del piano estetico, la vanità, la vulnerabilità e in definitiva lo spogliarello stesso) che per decenni sono stati pertinenti – e, in certi casi, decisamente limitanti – alle figure femminili e allo sguardo maschile rivolto a queste ultime.

In questo modo, con estrema leggerezza ma senza che questa infici sulla profondità concettuale del prodotto, Full Monty problematicizza la figura maschile rendendo sotto forma di pellicola il riferimento sociale a quella che era la stessa problematicizzazione che viveva in effetti l’uomo degli anni Novanta, riuscendo con ironia ad articolare un discorso complesso e, nel suo piccolo, rivoluzionario. Per questo il film, attualmente disponibile per gli abbonati della piattaforma di streaming DisneyPlus, è riuscito a consolidare la propria popolarità negli anni risultando ancora oggi una pietra miliare della commedia recente.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Full Monty, commedia cult degli anni Novanta, manifesta la problematicizzazione della figura maschile di quegli anni con un'eccezionale ironia e un'invidiabile vena comica.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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