Fair Play, di Chloe Domont, è un thriller molto intelligente, ambientato all’interno di un hedge fund newyorkese, ma è anche un film romantico che getta uno sguardo approfondito sulla passione sessuale (e sulla politica sessuale) nell’era post MeToo.
È uno dei rari film usciti dal Sundance che ha sfondato nel mondo reale, e in un momento storico in cui pellicole come Tár e The Fabelmans hanno faticato con gli incassi, questo lo rende una merce rara. Ma la chiave del successo del film non è solo che sia realizzato in un genere “commerciale” per il colosso dello streaming Netflix. È che Fair Play, pur essendo pieno di sesso, soldi, pugnalate alle spalle aziendali e molte altre cose divertenti da guardare, è davvero un ottimo prodotto.
Fair Play, la trama
Luke (Alden Ehrenreiched) Emily (la uminosa Phoebe Dynevor di Bridgerton) sono i due giovani più fortunati del mondo. Colleghi stretti e amanti segreti in un hedge fund di New York – uno di quei templi del capitalismo in cui tutti sono strafatti di lavoro e di espresso di prima qualità – questa giovane e bella coppia di analisti non si fa mancare nulla. Ma poi arriva il disastro, sotto forma di una promozione e di un grosso aumento per Emily.
È proprio questo ulteriore colpo di fortuna a sconvolgere l’equazione e a mettere in moto la loro corsa al ribasso. All’inizio Emily si schermisce con il suo nuovo status e Luke (un Alden Ehrenreich in forma smagliante) può continuare a dire alla sua brillante fidanzata “sono così felice per te” solo per i primi minuti del film.
L’umiliazione e il risentimento per essere stato scavalcato da un membro del gentil sesso lo faranno esplodere.
L’abile e tagliente guerra dei sessi messa in atto della scrittrice e regista Chloe Domont è davvero realistica e porta alla luce una tematica del tutto attuale.
Le parole della regista
Chloe Domont, 36 anni, che ha diretto episodi di Billions e Ballers, ha raccontato che il suo film è stato ispirato dalle sue esperienze di gestione delle dinamiche di potere durante gli appuntamenti.
“Quando la mia carriera ha iniziato a decollare, ho avuto la sensazione che il mio successo mi sarebbe costato le mie relazioni“, ha detto. “Frequentavo uomini che, da un lato, mi sostenevano ed erano attratti da me perché ero ambiziosa e intelligente e volevano che avessi successo.
Ma dall’altro lato, c’era la sensazione che loro dovessero arrivare per primi e che, per qualche motivo, i miei successi diventassero un riflesso negativo della loro autostima”.
Il suo film mette a nudo le tensioni che avvelenano molte relazioni tra gli uomini, che dovrebbero essere illuminati, e le donne, che dovrebbero essere a loro agio nell’avere tutto.
“Siamo in un’epoca post #MeToo in cui si pensa che molte di queste cose siano state superate, ma credo che esistano ancora e che siano state messe sotto il tappeto”, ha detto la regista. Come Emily, anche Domont ha contribuito a perpetuare la farsa e a sminuire la natura delicata della situazione.
“Non volevo ammetterlo ai miei amici, perché cosa avrebbe detto di me e della mia scelta del partner? Non vorrei mai ammettere alle mie amiche che sto con qualcuno che si sente minacciato da me, perché mi sentirei giudicata”.
Fair Play, la recensione
Più che un elegante thriller psicosessuale, il film evidenzia una verità inquietante e sempre più scontato: mentre il divario retributivo tra i sessi si riduce fino a diventare il più sottile mai registrato, le convinzioni e i pregiudizi radicati tardano ad evaporare.
Mentre questi investitori dell’alta finanza parlano come se scommettessero milioni su dati neutri, Fair Play suggerisce che le fortune si fanno in realtà scommettendo sull’opinione di chi ha fiducia.
Domont si diletta in questo scontro e stratifica il film con tutti i contrasti che riesce a trovare: il romanticismo contro il sangue, l’aggressività contro la percezione, e lotte crudeli che si svolgono su una colonna sonora di anima tenera. Mentre le ferite verbali si trasformano in lividi, ci rendiamo conto che Domont ci ha ingannato, spingendoci a investire la nostra stessa empatia in questi due giovani amanti emotivamente falliti che possono accettare lavolatilità del mercato azionario, ma non di loro stessi.
Il riflesso della nostra società
Le donne guadagnano 84 centesimi per ogni dollaro guadagnato da un uomo, rispetto a poco più del 60% degli uomini nel 1979, il primo anno in cui il governo statunitense ha iniziato a raccogliere i dati.
“Il numero di donne sposate che guadagnano lo stesso o più dei mariti è triplicato negli ultimi 50 anni, e il 16% delle mogli guadagna di più”, ha dichiarato Julia Pollak, economista capo del sito di ricerca di lavoro ZipRecruiter. “Ma le norme richiedono più tempo per cambiare”.
Le ragioni per cui i numeri si muovono a favore delle donne sono molteplici. Innanzitutto, le categorie lavorative in maggiore crescita, comprese quelle del settore sanitario, sono occupate prevalentemente da donne. Le donne hanno figli più tardi, il che riduce la “penalizzazione salariale” che deriva dalle interruzioni di carriera.
Alcuni uomini affrontano il disagio di guadagnare meno delle loro compagne appoggiandosi alla dinamica e postando tributi TikTok #sixfigurewife. Altri si affidano a guru sciovinisti come Andrew Tate o Jordan Peterson, lo psicologo canadese che ha fatto del movimento anti-uomo uno dei suoi obiettivi.
Un improvviso cambiamento nelle circostanze economiche può essere sconvolgente per chi ha un reddito più alto, come viene reso in Fair Play. Emily si interroga su come sminuire il suo successo.
Quando l’ineguaglianza si inverte, questo può cambiare la percezione dell’uomo all’interno della relazione. Continuiamo a sentire che gli uomini sono tossici. Ma cos’è veramente tossico? Il modo in cui la nostra cultura ha promosso la loro virilità attraverso uno status economico.