Est – Dittatura last minute la recensione del film di Antonio Pisu con Matteo Gatta, Lodo Guenzi e Jacopo Costantini
Il viaggio della vita, quello che si fa per non scordarsene più, per diventare grandi, rendere unica un’amicizia e fermare la storia, si trasforma in noir dal sapore drammatico-malinconico nell’insolita cornice di Est – Dittatura last minute, ultima piacevole opera dell’attore e regista Antonio Pisu, che ne ha curato la sceneggiatura, partendo dal racconto Addio Ceausescu realizzato da Maurizio Paganelli e Andrea Riceputi, due dei protagonisti che realmente vissero quegli eventi.
Est – Dittatura last minute la trama
Presentato con entusiasmo alle Giornate degli Autori della scorsa Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, la vicenda ruota attorno a Pago (Matteo Gatta), Rice (Lodo Guenzi) e Bibi (Jacopo Costantini), ventiquattro anni ciascuno, originari di Cesena, pronti a partire alla volta della vacanza sognata e risparmiata da sempre; destinazione la mitica Europa dell’Est, terra di chissà quali esoticità, divertimento e proibizioni; siamo nel 1989, in pieno tramonto di un’epoca segnante, con il muro di Berlino prossimo alla caduta e il dittatore Ceausescu vicino al suo spodestamento: lì finisce tutto e noi ce lo perdiamo, si incoraggiano i ragazzi all’inizio della loro avventura.
Così dallo scanzonato centro-Italia arrivano a Budapest, Ungheria, in macchina, in cerca di allegria e distrazione, avventura e leggerezza, con una cinepresa più grande di loro a riprendere quello che appare come un altro mondo raccontato solo dai tg e che gravita, tutto sommato, a poca distanza dalla confortante provincia di origine. Nelle loro tasche l’incoscienza e la fortuna dei principianti, qualche lira e biancheria intima da vendere nei mercatini locali come presunta merce rara. Ma ben presto i loro piani cambiano faccia e i tre si ritrovano a schivare e poi a rincorrere una valigia misteriosa destinata da un papà rumeno, fuoriuscito dal paese, alla sua famiglia rimasta a Bucarest: la Romania diventa l’inedita meta, il confine attraversato, il nuovo campo da battaglia, il territorio da scoprire, esplorare, interpretare ed abbracciare, lo stato blindato, sotto regime, schedato e spiato dai servizi segreti locali, dove un sorriso è oggetto raro, impagabile e non dimenticabile.
Est – Dittatura last minute la recensione
Road movie, apparentemente leggero che ben presto ispessisce il suo portato virando su un versante ricostruttivo ed umano notevole: senza che i tre ragazzi vogliano o preordinino alcunché, emerge e trova progressivo e commovente spazio nel loro sguardo e nel loro pensiero, il ritratto non calcolato, autentico ed attento al dettaglio di un popolo, ancor prima che di uno stato, la cui psicologia sembra quasi conseguenza inevitabile del luogo, e che spicca da sagome incappottate nel freddo e nelle nebbie, perchè neanche il sole è così amico laggiù, piegate dalla fatica, dagli stenti, dalla mancanza di qualcosa che c’era e non c’è più, qualcosa che è stato loro tolto, o che attendono da più tempo di quello sopportato dalla comune speranza; la fame, l’amore perduto e la libertà balenano nell’atteggiamento fisico, in quello comportamentale, nella fragilità nascosta, nell’euforia sul niente, nello sguardo degli anziani, nei vestiti appariscenti e stonati delle giovani, nella compassione dilagante, offerta da tutti, persino da un mezzo criminale, guarda caso di origine italiana, che falsifica documenti per permettere a chi non ce la fa più di cercarsi una vita altrove.
Tra gente in fila per la razione quotidiana, camere d’albergo misere, ristoranti in cui manca metà menù, Pago, Rice e Bibi trovano persone totalmente consapevoli della loro situazione, eppure ancora familiari, spente e provate, ma dignitosissime, disposte ad aiutare e capaci di conquistarsi a loro volta l’aiuto dei ragazzi: ci sono le stesse madri che ci sono in Italia, gli stessi figli, gli stessi padri, l’identica tristezza, quel medesimo silenzio, l’astinenza dalla vita e una fede amara e fatale nel passato luminoso e nella giusta rinascita.
Est – dittatura last minute è una cartolina che non ci immaginiamo, e che il regista confeziona con tatto inaspettato e furbizia buona, senza immaginare che stia prendendo questa direzione, allo scopo di informare e condividere spaccati storici cruciali con quelle nuove generazioni che nemmeno nei programmi scolastici arrivano a scoprire certi fatti, ignorando cosa sia stato dividere città con muri, spiare la popolazione in ogni attività pubblica e privata, isolarla, sanzionarla, controllarla, sottrargli la libertà progressivamente e apparentemente legalmente, imporgli il dispotismo integralista e capriccioso di un tiranno dopo il disastro di una guerra mondiale, spogliarla al punto da rendere la cioccolata cibo di lusso o un reggiseno oggetto preziosissimo: così si è reso lo stato di povertà tara determinante e condizionante lo sviluppo futuro della nazione.
Una dimensione sociale lontana da quella dei protagonisti, ma non così estranea da non intercettare i loro bisogni; uno spaccato che si mostra improvviso a tre amici partiti per una vacanza e finiti dove non si ride mai; un periodo di trasformazione che parla tanto anche della nostro tempo pandemico crudele.
Buone le dinamiche degli attori, esercitatisi alla convivenza e alla reciproca familiarità, ben calibrati ognuno sulla propria caratteristica fondamentale, l’ingenuità buona di Bibi che scatena guai, l’intraprendenza di Rice, solitario dal cuore grande, l’apertura emotiva di Pago che concilia animi ed eventi, aiutandoli a farli funzionare: chi più chi meno dei tre possiede un luogo in cui tornare, un affetto che non sanno ancora collocare, un’indipendenza che stentano a cogliere, una persona diversa da loro a cui dover dare priorità. Questo viaggio ad Est ne scopre il coraggio, li forma, regalando loro maturità ed apprezzamento del diverso, della realtà oltre il racconto, della possibilità accanto alla paura, della comunione al di là delle gravi differenze, della solidarietà incontrollabile che rende insopprimibile l’istinto a barattare, donare, condividere pur di veder sorridere l’altro sui fondamentali della vita. Sono due viaggi che si inseguono, si compenetrano e si compensano, hanno del magico e del naturale insieme.
Si alternano la calata emiliano-romagnola in presa diretta, poi il rumeno e il francese: così il film risulta un coacervo di lingue e suoni, che si fanno via via intellegibili, come accade alle vicende della storia e al rapporto tra i tre ospiti e la comunità ospitante; ci sono persone comuni e volti speciali che si susseguono quasi come in una favola o in un film nel film, più grande dei personaggi, che non deve dimostrare nulla se non l’incredibile reale spettacolo occorso a tre ragazzi in viaggio verso l’Est Europa negli anni Ottanta (le riprese originali, per altro, scorrono divertite e divertenti nei titoli di coda).
Fotografia plumbea da quasi subito, che non fa differenza tra Italia, Ungheria, Bulgaria e Romania, accomuna in un’unica grande avventura misteriosa e profonda tutte le vicende, ovunque esse si svolgano, a simboleggiare un carico interiore già proiettabile dai primi fotogrammi, dal tg casalingo iniziale, alla macchina bloccata nel nulla in attesa che riaffiori il ricordo su dove fosse stata gettata la valigia misteriosa, dal castello di Dracula, al ristorante in cui un’intensa cantante chiede loro che prezzo danno ai sogni, ai ricordi, a ciò che non si può più avere o più fare.
Nota di gran merito ha l’ottima colonna sonora: tra laghi musicali ad hoc e canzoni originali di Franco Battiato, si fa buio e luce, durante questo picaresco viaggio, con una grazia ed una pertinenza che raramente si ha la fortuna di gustare assistendo ad opere simili e non; una drammaturgia musicale per nulla scontata, egregiamente inserita, evocativa dal lato invisibile e significativa per contenuti associabili. Non a caso infatti, il primo contatto reale tra i tre protagonisti e i rumeni avviene attorno ad un tavolo, davanti ad un minestrone, sulle note di Felicità, cavallo di battaglia di Albano e Romina, una tra le canzoni italiane di maggior successo all’estero, Romania compresa, simbolo di un luogo migliore dove vivere e di qualcosa che non è più: una coppia tricolore oggi divisa, un’ Italia felice, che, forse, non sapeva di esserlo.