Nel 1975, un regista emergente di nome Steven Spielberg ha inventato quello che presto sarebbe diventato noto come “blockbuster estivo” spaventando le persone fuori dall’acqua con “Lo squalo”. Due anni dopo ha alzato ancora una volta il suo profilo con “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (1977), poi ha dimostrato che avrebbe dominato il botteghino per gran parte degli anni ’80 con “I predatori dell’arca perduta” (1981). Dopo questa serie di successi, Spielberg voleva raccontare una storia più piccola e più personale per il suo prossimo film. Intitolato inizialmente “Growing Up”, il film proposto è stato ispirato dal divorzio dei genitori del giovane regista quando aveva 15 anni. Comprendeva i sentimenti di alienazione che Spielberg provava essendo ebreo in un quartiere dell’Arizona e fu raccontato dal punto di vista di tre bambini. Così lui, insieme alla sceneggiatrice Melissa Mathison, hanno combinato la storia semi-autobiografica di Spielberg con l’alieno benevolo che visita un ragazzo sulla Terra per creare E.T. L’extra-terrestre.
La storia ruota attorno ad un botanico alieno proveniente dallo spazio (originariamente chiamato “Puck” da Spielberg, ma poi sostituito con “E.T.”) che si ritrova bloccato sulla Terra e stringe amicizia con un ragazzino di 10 anni di nome Elliot (Henry Thomas). Con l’aiuto di suo fratello Michael (Robert MacNaughton) e della sorella Gertie (Drew Barrymore), cerca di tenerlo segreto a sua madre (Dee Wallace) e a tutti gli altri adulti. In poco tempo si sviluppa un tenero legame tra il piccolo alieno ed Elliot. E.T. L’extra-terrestre è il mito magico del film fantasy immensamente popolare. Il suo budget stimato di 10 milioni è stato facilmente recuperato quando è diventato uno dei film campione d’incassi di tutti i tempi. Il personalissimo e commovente capolavoro di Steven Spielberg è stato calorosamente accettato dal pubblico cinematografico per il suo ritratto d’amore tra un giovane ragazzo di periferia senza padre e un perduto, benevolo visitatore con nostalgia di casa, proveniente da un altro pianeta, erroneamente lasciato sulla Terra, a tre milioni di anni luce da casa. I temi agrodolci del film includono la scoperta, il salvataggio e la fuga, proprio come il mito di “Peter Pan” (anche menzionato nel film). Il poster di John Alvin per il film con la punta delle dita celestiale e luminosa di E.T. presenta anche un tema religioso che ricorda il dipinto di Michelangelo “La creazione di Adamo” sul soffitto della Cappella Sistina. E, la storia della morte e della risurrezione presente nel film, mostra molti parallelismi con la storia biblica.
Allegoria religiosa e parabola a parte, E.T. L’extra-terrestre si identifica chiaramente con molte esperienze dell’infanzia: una famiglia travagliata e distrutta con un genitore single e nessun modello comportamentale positivo, un ragazzo solitario e diseredato privo di appagamento emotivo, la feroce cura del ragazzo per una creatura o un animale domestico ugualmente smarrito e randagio (anche “staccato” dalla sua famiglia), il bisogno di amicizia, il mondo malevolo degli adulti e i pericoli dell’infanzia, poi la guarigione miracolosa, la realizzazione dei desideri, il coraggio, la trascendenza e la nostalgia. Il racconto è quasi una variazione de “Il mago di Oz” (1939) perché in questa storia tre bambini piccoli aiutano una creatura spaziale a tornare a casa sua. E.T. è un film abilmente costruito. Gli stili di ripresa e di regia utilizzati raramente hanno rivali nella fantascienza e resistono ancora alla cinematografia moderna. Gli effetti speciali, ad esempio, sono di prim’ordine e probabilmente, visionandolo anche adesso, dimentichiamo di star guardando un film che ha quasi 4 decenni. Tuttavia, la vera arte dell’opera non risiede nei suoi effetti speciali, ma nello stile di regia fornito proprio da Spielberg. Gran parte del film è stato girato deliberatamente da un’angolazione della telecamera bassa, proprio per sottolineare il punto di vista di un bambino e incoraggiare manipolativamente gli spettatori più giovani a identificarsi con i personaggi e per costringere anche gli spettatori adulti a rivivere la propria infanzia. È stato anche girato in sequenza, in modo che la scena della partenza di E.T. alla sua conclusione contenesse un’emozione splendidamente genuina.
Ai tempi, Spielberg stava lavorando contemporaneamente a due storie suburbane: “E.T.” (come regista) e “Poltergeist” (come produttore) – ma mentre una era una storia fantasy, l’altra era una storia dell’orrore da incubo. Oltretutto, questa storia di un’amata creatura aliena è stato poi l’opposto di un altro suo successivo film “La guerra dei mondi” (2005) con invasori alieni distruttivi. Con E.T., Spielberg ha creato una visione accattivante della vita aliena, sotto forma di creatura minuscola con la pelle rugosa e un ventre luminoso. Dal momento in cui E.T. ha avuto la sua prima proiezione, la sera di chiusura al Festival di Cannes del 1982, l’entusiasmo del film è stato straordinariamente positivo. Talmente positivo che viene da chiedersi perché ha avuto tutto questo successo innescando una risposta così emotiva nel pubblico. Come film è tecnicamente e artisticamente superbo. È una magica esperienza fantascientifica, una miscela perfettamente equilibrata di commedia dolce e melodramma, di morte e resurrezione, di un’amicizia così potente e pura da sembrare quasi un amore idealizzato. Ma, in realtà, E.T. forse ci parla su un altro livello, uno più profondo del nostro subconscio. Si occupa di emozioni ed esperienze quotidiane e mostra anche una fame e una curiosità (quasi una speranza) che tutti noi in fondo abbiamo, ovvero quella di credere che ci sia qualcos’altro, un essere al di fuori del nostro mondo.