Una storia di violenze trattenute, di verità sospese e mascheramenti alla luce del sole. Due donne si incrociano ma faticano a riconoscersi. È la New York percorsa dalle tensioni razziali ad averle costrette alla ritrattazione e alla menzogna.
Irene e Clare si rivedono un pomeriggio in una elegantissima sala da tè. L’afa dell’estate newyorkese è asfissiante; sembra ricordare loro che non dovrebbero essere lì, che il bagliore del sole è pericoloso per chi si sta facendo passare per ciò che non è.
La New York degli anni ’20 è in fermento: nell’aria aleggia il profumo del cambiamento. Ma chi ha la pelle nera è relegato ad Harlem, lì dove i bianchi possono far finta di non vederli. A New York, dove Harlem è ancora un quartiere ghetto, le due comunità hanno pochissimi punti di contatto nel quotidiano, se non nelle frange più “progressiste” della borghesia bianca.
Irene e Clare sono nere, ma la loro pelle offre la possibilità di scegliere se farsi “passare” per bianche. Irene corre il rischio solo per brevi momenti di convenienza. Clare invece non vuole essere condannata a rinunciare a tutto ciò che ha sempre sognato. Da quel momento le due donne torneranno a frequentarsi, pericolosamente sedotte l’una dalla scelta dell’altra. La loro vite verranno irrimediabilmente travolte.
Passing: la possibilità di essere qualcun altro
Per “passing” si intende quella particolare situazione in cui una persona viene creduta dagli altri come appartenente ad un gruppo diverso dal proprio. Ciò può riguardare l’etnia, la classe sociale o la religione.
Irene (Tessa Thompson – “Creed II”, “Avengers: Endgame”) approfitta della sua carnagione non troppo scura per gironzolare nei quartieri alti, fare acquisti e concedersi di sedere in qualche hall d’albergo di lusso. Le bastano un po’ di trucco e un cappello a tesa larga per dissimulare i lineamenti che potrebbero tradirla. Ma, in verità, la sua vita è ad Harlem.
Il marito è medico (André Holland – “The Knick”) e lei si occupa di un comitato di beneficenza per il miglioramento delle condizioni di vita dei neri. Clare (Ruth Negga – “12 anni schiavo”, “Fury”), invece, da anni finge di essere bianca. Ha sposato un uomo di Chicago, ricco, razzista ed egocentrico. Al fianco di John (Alexander Skarsgård) Clare gode di quella dolce libertà che solo i bianchi possono assaporare, ma il desiderio di riconnettersi con il suo passato la sta schiacciando.
Quando le due donne si ritrovano, sembra poter rinascere l’intimità che le legava in gioventù. A travolgerle invece sarà un’insoddisfazione che non avevano ancora avuto il coraggio di ammettere nemmeno a se stesse. Un’insofferenza che alimenta invidia, sospetto e condotte imprudenti.
Due donne riflesse in uno specchio in bianco e nero
Clare rimpiange la sua vita ad Harlem, le sue radici, la sua gente. Irene è gelosa, interdetta dal fascino ambiguo dell’amica, segretamente invidiosa di quella enorme bugia che lei non ha mai azzardato fino in fondo. Il conflitto di razza che insanguina le strade d’America la sconvolge, vorrebbe proteggere i suoi figli, vorrebbe non raccontare loro dei rischi che correranno in quella città. Ma può solo serrare la porta di casa, e pregare che la violenza non riesca a fare irruzione.
Due donne – Passing è un gioco di riflessi, di deformazione prospettica in bianco e nero. Irene e Clare sono l’una lo specchio delle paure e delle aspirazioni dell’altra. E quello specchio così carico di tensioni da riflettere è destinato a frantumarsi rabbiosamente a terra.
Passing: l’esordio alla regia di Rebecca Hall
Rebecca Hall sembra intimamente votata ai cambi d’abito repentini. L’attrice britannica è passata dai toni leggeri di GGG di Spielberg, alla drammatica storia vera della giornalista televisiva Christine Chubbuck diretta da Antonio Campos, al ruolo di Vicky in Vicky, Cristina, Barcellona di Allen.
Per il suo esordio alla regia sceglie di traghettare sullo schermo il romanzo Passing del 1929 scritto da Nella Larsen. Il romanzo è espressione di quella corrente letteraria e culturale conosciuta con l’appellativo di “New Negro”, in risposta alle leggi sulla segregazione razziale “Jim Crow” che, dopo l’abolizione della schiavitù, marcarono una precisa linea di confine tra la comunità bianca e quella afrodiscendente fino a tutti gli anni Cinquanta, quando il movimento per i Diritti Civili cominciò a vincere le sue prime battaglie.
A detta della stessa Hall, l’attrice ha scelto una storia così potente, abitata da contrasti e crepe destinate ad ingigantirsi per indagare anche sulla sua storia personale, e su un nonno figlio di matrimonio misto sul quale non è mai saputo molto.
La scelta di raccontare con la fotografia
Due donne – Passing è un film in cui è soprattutto la fotografia ad affascinare. Un po’ come fosse l’autore nascosto della pellicola Eduard Grau, disegna il contrasto tra bianco e nero annullando cromaticamente le differenze. Ciò non solo rende assolutamente credibile il gioco narrativo della dissimulazione ma rende l’impianto scenico-tematico così chiaro da realizzare una perfetta fusione tra stile e contenuto.
Questa idea, pur correndo il rischio di apparire fin troppo didascalica, a ben vedere non è affatto banale, specie nelle mani di un esordiente. Il bianco dell’afa estiva dei quartieri alti, il pallore immobile del volto di Clare, i suoi candidi capelli biondi e il chiarore dei suoi abiti trovano l’esatta buia corrispondenza nell’ombreggiata casa di Irene, nei suoi eleganti vestiti di velluto nero, nelle notti trascorse tra fumo di sigarette e charleston nelle sale da ballo di Harlem.
L’uso del bianco e nero diviene metafora visiva dei contrasti che tormentano le vite delle due protagoniste. Forse c’è un che di troppo estetizzante che mal si concilia con la complessità dei temi trattati, ma l’approccio non è per nulla scontato e le bellissime immagini proposte dal film si insinuano nella memoria dello spettatore invitandolo e leggere dentro gli occhi tristi e insoddisfatti delle due bravissime attrici.
Il film è girato prevalentemente in 4:3 e la prospettiva continua ad aprirsi e chiudersi al mutare degli stati d’animo, con l’aumentare del senso di oppressione, con l’acuirsi delle tensioni.
Una rappresentazione scenica studiata, tenuta sotto stretto controllo, entro la quale la macchina da presa si muove con sicurezza, rimanendo però inghiottita in una soffocante prevedibilità. E’ questo il vero unico ingombrante problema della pellicola: soggetto, temi e impianto visivo sono tutti univocamente concentrati sulla raffigurazione del contrasto tra bianco e nero; mentre la progressione narrativa si sfilaccia con il progredire della storia.
La sceneggiatura di Rebecca Hall, forse per paura di cadere nella retorica, finisce per costringere lo spettatore troppo lontano dal coinvolgimento emotivo.
Passing: un contrasto a due voci
“Due donne – Passing” resta un film che vanta una visione registica coraggiosa. Il film per temi e teatralità richiama i recenti Ma Rainey’s Black Bottom (Netflix) e Quella notte a Miami… (Amazon Prime). Per quanto il film di Rebecca Hall prediliga toni più delicati dei film citati (che sono magnificamente sopra le righe), anche qui gran parte della tensione nasce proprio dal contrasto tra voci differenti. Due, principalmente: Il silenzio di Irene e la seduttiva risata di Clare.
Il tema del contrasto a due è ricorrente anche nella fotografia: ritratti umani e urbani palesano simmetrie e antitesi. La dicotomia tra le due donne è al centro di ogni sforzo scenico: entrambe impegnate nel negare la propria discendenza, Clare apertamente, Irene fingendo che il mondo non sia così violento, impegnata in raccolte fondi che nascondono lo scontro sui fondi dei bicchieri di aperitivi interrazziali.
Due donne – Passing è una riflessione sull’identità, sulla necessità di riconoscere se stessi mediante le paure e le passione dell’altro, sull’impossibilità di fuggire dalla brutalità del mondo.
Peccato che il film si alimenti di un’unica, per quanto interessantissima, idea: utilizzare la fotografia per dare corpo al tema del mascheramento. Le grandi prove attoriali risultano schiacciate dai dialoghi poco incisivi, distaccati, troppo trattenuti. Così la violenza del contrasto razziale non solo viene tenuta lontano dallo schermo ma viene in qualche modo offuscata da un testo ridondante.
Nonostante il momento storico di cambiamento l’odio che corre nelle strade è fortissimo. E per quanto il film si sforzi nel suggerire che non è possibile fingere che la violenza non esista, tanto dentro casa quanto all’esterno, i dialoghi finiscono per stemperare proprio la ferocia che dovrebbero denunciare.