Crash è un film drammatico americano uscito nel 2004, scritto e diretto da Paul Haggis. Il film, che ha vinto tre Premi Oscar come miglior film, miglior sceneggiatura originale e miglior montaggio, parte da un incidente automobilistico. Un fatto apparentemente semplice che però costituisce una base inflessibile per la complessa esplorazione di razzismo e pregiudizio.
Crash, la trama del film
Ambientato nell’arco di poco più di 24 ore durante un periodo natalizio insolitamente freddo, Crash segue le vite intrecciate di un gruppo multiculturale di Los Angeles. La metropoli in sé non interessa a Paul Haggis quanto la labirintica matrice dei rapporti razziali che promuove. Il film riunisce persone di ogni estrazione sociale.
Due neri filosofi (Ludacris e Larenz Tate) rubano il costoso SUV appartenente al bianco procuratore distrettuale di Los Angeles (Brendan Fraser) e alla sua nervosa moglie (Sandra Bullock). Un veicolo simile appartenente a un ricco regista televisivo nero (Terrence Howard) e sua moglie (Thandie Newton) viene successivamente fermato da un poliziotto razzista (Matt Dillon) e dal suo partner (Ryan Phillippe). Presto molte di queste persone si incontrano con un fabbro latino (Michael Peña), un negoziante persiano (Shaun Toub) e due detective della polizia etnicamente diversi (Don Cheadle e Jennifer Esposito).
Crash, la recensione del film di Paul Haggis
C’è un’immagine visiva che domina Crash fin dai titoli di testa. Sfere di luce sfocate che si muovono in modo apparentemente casuale. A volte si scontrano silenziosamente, solo per continuare sui loro percorsi incerti. Queste illuminazioni astratte, ovviamente, sono fari che fluttuano lungo le strade di Los Angeles, un paesaggio urbano in cui un incidente d’auto è la forma più comune di interazione personale.
La sceneggiatura brillantemente concepita da Paul Haggis e Bob Moresco adotta una linea narrativa non lineare, impiegando un dispositivo narrativo reso familiare agli spettatori nei film di Robert Altman (Nashville), Paul Thomas Anderson (Magnolia) e più avanti utilizzato anche da Alejandro González Iñárritu con Babel. Nel film, la molteplicità delle trame, è radicata nel tema della sceneggiatura sulla natura complessa degli esseri umani.
Il normale rapporto sociale, per molti dei personaggi del film, è definito principalmente da nozioni preconcette sul colore della pelle di una persona, il tipo di macchina che guida, il numero di tatuaggi che ha sul corpo, la sua linea di lavoro e così via. Poiché gli stereotipi e i pregiudizi razziali formano la maggior parte dei nostri giudizi disinformati sugli altri, il dialogo di Crash abbonda di insulti etnici e colpi che lasciano pochi indenni.
Crash, il significato del film
Con uno scopo più grande, questo film audace e spesso oscuramente divertente, ci invita a dare giudizi confortevoli sulla sua miriade di personaggi sulla base di queste prime impressioni e ad incasellarli in termini semplici. Bianco e nero. Buono e cattivo. Bello e brutto. Ma proprio quando sembra che le cose stiano per raggiungere un punto di ebollizione nella Città degli Angeli, qualcosa improvvisamente inizia ad accadere in Crash.
In una delle sequenze più meravigliosamente dirette e montate, un “cattivo” nel film agisce in maniera disinteressata, contrariamente alle aspettative imposte. A questo punto Crash inizia a scuotere la sua catena come pochi film fanno, testimoniando la piena dimensionalità della specie umana. Non si tratta di mostrare gli attributi buoni e cattivi di tutti – il film per fortuna non cade in questa trappola diametrica – ma piuttosto si tratta di ricordarci che i filtri attraverso cui stimiamo il carattere di una persona possono oscurare tanto quanto rivelano. In effetti, la ripresa finale del film è una visione di Los Angeles con gli occhi di Dio, suggerendo che solo un cosmo onniscente può veramente giudicarci per quello che siamo.
Mentre molti critici e spettatori sono rimasti favorevolmente colpiti da Crash, altri hanno trovato il film manipolativo e artificioso. Ma Paul Haggis, che ha anche scritto la sceneggiatura del capolavoro di Clint Eastwood, Million Dollar Baby, ha fatto un buon lavoro che si fa specchio di una realtà sociale attuale. L’intero cast dell’ensemble è superbo, con Dillon che offre una performance straordinaria nei panni di un poliziotto di Los Angeles per il quale provi la stessa misura di disprezzo e compassione. Altrettanto memorabile è l’attore rap Chris “Ludacris” Bridges nei panni di un ladro con una coscienza distorta.