Chambers pone i suoi elettrodi e fa un elettrocardiogramma ai telespettatori.
Tre quarti d’ora, per dieci puntate. Come andrà a finire non lo sapremo, ma ci piace pensare che quest’abbozzo di serie televisiva potesse avere un alto potenziale.
Il prodotto statunitense di Leah Rachel prende sapientemente spunto da prodotti risultati vincenti in passato e si fa bella, e originale.
Anche se Netflix l’ha stroncata alla prima stagione, molti sperano possa cambiare idea, almeno per una seconda.
Gli elettrodi di Chambers sono: Uma Thruman; un’attrice nativa americana agli esordi; una colonna sonora molto indie e una trama horror avvincente. Si ri-fa, a detta della stessa Rachel, a molti film dell’orrore italiani anni ’70 (Dario Argento), a Polanski, a Donnie Darko, con la variante di un un taglio più documentarista. Tuttavia probabilmente aveva idee un po’ troppo sovversive per la seconda stagione.
Tredici o Stranger Things sono le serie di successo tra il grande pubblico a cui assomiglia di più, ma non si può sapere che piega avrebbe potuto prendere.
Perché cominciare a guardarla, quindi? Per diventare piccoli detective del paranormale e addentrarsi in questioni di cui non si parla spesso.
Chambers crea quella situazione che può sembrare assurda, ma che si fonda su credenze e paure antiche; tocca tasti dolenti sui misteri che avvolgono l’esistenza umana, correlati dall’ulteriormente occulto mondo delle pratiche esoteriche e della medicina.
Non sappiamo come mai, ma ci coinvolge come un fatto vero di cronaca nera, accompagnati dallo scetticismo e curiosità degli stessi protagonisti. È accaduto a loro, potrebbe accadere anche a noi.
La situazione ci avviluppa anche con il contrasto tra ricchezza e povertà, tema sempre attuale affrontato da qualsiasi prospettiva. Qui un po’ alla O.C., alla Ragnarok, o alla Scappa – Get Out –, quest’ultimo accomunabile anche per il tipo di thriller psicologico che racconta.
L’inquadratura sale su un ventre: una mano dalle unghie laccate di blu, massaggia un unguento tra i seni su quella che si scopre essere una cicatrice lungo tutto lo sterno.
Sasha (Sivan Alyra Rose) è una nativa americana della tribù dei Navajo – Diné nella lingua amerindia – fondata su base matrilineare. Orfana, vive nel deserto dell’Arizona – la serie è girata in New Mexico –, in una riserva di indiani d’America con Frank, zio materno a cui è molto devota e con il quale lavora. È innamorata di un ragazzo nativo molto legato alla tradizione delle sue origini.
Quando decide di perdere la verginità con lui, ha un attacco di cuore. La causa: echovirus, virus orfano umano citopatico enterico.
Il momento viene descritto molto bene dalla regia di Alfonso Gomez-Rejon (American Horror Story). Le sensazioni d’angoscia e di disperazione del momento sospeso tra la vita e la morte sono palpabili fino allo scioglimento. Un trapianto di cuore salva la diciasettenne che, comunque, naturalmente, non avrà più la vita tranquilla di prima.
Sasha è un moderno Frankenstein: giovane, bello e donna.
Avere gli organi di qualcun altro è già di per sé un’esperienza trascendentale; la nuova vita diventa ancora più strana se ti imbatti sulla famiglia di chi ti ha donato il cuore.
Spinta dal senso di colpa, Sasha entra a far parte del nucleo famigliare di Rebecca “Becky” LeFevre (Lilliya Scarlett Reid).
I genitori della ragazza cercano in lei loro figlia e la nuova proprietaria del suo cuore sente, in effetti, di avere – ed essere – parte della defunta.
Una volta accettata una borsa di studio in onore di Rebecca, Sasha comincia a frequentare il liceo dellaa Crystal Valley, abbandonando Cottonwood. Già nel primo episodio vengono posti sul tavolo gli elementi salienti della stagione.
Occupando il suo posto a scuola e frequentando sempre più la sua famiglia, Sasha riveste quasi del tutto i panni di nuova Becky. E, sentendo in sé qualcosa che non va, cerca di capire, con azzardate mosse da investigatrice, come sia morta la ragazza di cui ha il cuore. Si accorge fin da subito che, gradualmente, oltre l’organo vitale, lo spirito di lei si sta appropriando, come un demone buono, della sua mente e del suo intero corpo.
I LeFevre, paradigma della famiglia americana ricca e influente, nascondono qualcosa. Anche tra la madre e il padre di Becky, Nancy (Uma Thruman) e Ben (Tony Goldwyn), e il fratello Eliott (Nicholas Galitzine) ci sono molte cose non dette che puntata dopo puntata ci appaiono meno oscure.
Il fratello di Becky, dall’insolente bellezza, si mostra come ribelle della famiglia, anche se probabilmente è l’unico componente autentico. Crea da subito un curioso legame con Sasha, tra complicità fraterna e attrazione sessuale.
Infatti una più o meno velata tensione erotica percorre tutti i dieci episodi di Chambers, compagna perfetta di ogni film horror. Per questo e altri particolari David Lynch è maestro imprescindibile della serie.
Oltre i protagonisti principali, tutti, anche i personaggi secondari sono responsabili, detengono un tassello o concorrono per la verità intorno alla misteriosa morte di Becky.
Il contrasto tra Becky e Sasha è socialmente ed esteticamente forte, per provenienza, colore della pelle e dei capelli, per stato sociale.
Quella di LeFevre vorrebbe essere l’esempio di una famiglia perfetta, con rapporti esemplari di amore e fiducia tra i componenti. Viene però messo in dubbio dai fatti che iniziano con il presunto incidente di Becky e l’arrivo di Sasha. Pian piano la famiglia LeFevre si scopre piena di falle, di problemi, di tensioni e debolezze.
La bellezza selvaggia di Sivan Alyra Rose e gli ambienti dimessi o perfetti teatro della serie affascinano. L’interprete, pur non essendo un’attrice di professione, entra molto naturalmente nella parte della protagonista, all’altezza del resto del cast. Con Uma Thruman come mentore, che si dimostra magistrale anche per il piccolo schermo.
I colori saturi si fanno caldi o cianotici in base al clima della situazione; primissimi piani in certi scambi di battute fitti, per porre l’attenzione sull’espressività di occhi e bocca per evidenziare le emozioni che ne traspaiono; scene visionarie e flashback: Chambers è un telefilm molto denso, più che essere raccontato e descritto va vissuto.
La serie tocca temi molto delicati, tendenzialmente occultati in America.
La situazione dei nativi americani, ad esempio, è perlopiù snobbata. Viene spontaneo, guardando l’affascinante Sivan Alyra Rose nei panni di Sasha, informarsi sulla loro situazione. Per questo Chambers era diventata un portabandiera di un riscatto importante per la rappresentatività dei Nativi; mostrava la diversità: “l’unico film di fantascienza che non avesse una guida bianca”, ha scritto una telespettatrice su Twitter.
Il difficile e sensibile rapporto tra cultura indiana e statunitense nei set si fa calda, soprattutto dopo secoli di Western in cui il bianco cacciava l’indiano d’America come nemico. E anche dopo spiacevoli situazioni come quelle sulle scene Netflix di Ridicolous 6, in cui gli amerindi si sono ribellati per mancanza di rispetto nei loro confronti. Questa serie poteva essere il contraltare perfetto di anni di cinematografia “sbagliata”.
Oltre il divario sociale, anche quello delle sette New Age è una questione radicata nel Nuovo Mondo. I LeFevre fanno parte della Annex Foundation, che sembra coinvolta nella morte di Becky. Il giorno del rilascio è quello che introduce anche Sasha nel contesto ambiguo della setta.
L’affermata showrunner Akela Cooper non ha aiutato per consacrare il successo di Chambers sul quale aveva puntato Netflix. La critica non ha amato la serie e, probabilmente anche per questo, non è previsto un seguito.
Ma la speranza è l’ultima a morire, soprattutto con un cuore così nuovo e così antico.
E quello di Becky forse non è il solo spirito della serie che dobbiamo conoscere meglio.
Voto Autore: [usr 3,5]