Cane di paglia è un film del 1971 di Sam Peckinpah con Dustin Hoffman come protagonista. Si tratta di uno dei pochi lavori di carattere non western della sua intera filmografia. Tratto da un romanzo dello scrittore Gordon Williams, dal titolo “The Siege of Trencher’s Farm“, è girato interamente in Cornovaglia e ne è stato realizzato un remake con James Marsden, uscito qualche anno fa.
Cane di paglia, trama
Un matematico americano di nome David si trasferisce in Cornovaglia, nel sud dell’Inghilterra, con la propria fidanzata. La pace del posto gli permettono di dedicarsi agli studi sulla cosmologia. Presto aumentano i contatti con la piccola comunità nella quale risiede. Un problema al tetto della sua casa, lo porta a contattare degli uomini tuttofare, abitanti del paese, che si prestano ai lavori. Con il passare del tempo, la situazione cambia e David inizia a subire dei maltrattamenti da parte di quest’ultimi, fin tanto che il contesto degenera.
Cane di paglia, recensione
Sam Peckinpah è un regista moderno, colui che ha cambiato il modo di girare il western; assieme a Sergio Leone, sono i due grandi rivoluzionatori del genere. Talmente affezionato alle tematiche e alla maniera di raccontare tipicamente western, che anche i pochi film realizzati, che si distaccano da esso, in realtà mostrano quelle caratteristiche inconfondibili, che rimandano per forza di cose alla solita polpa.
Peckinpah è il regista della violenza, senza ombra di dubbio. Probabilmente uno degli autori più crudi della sua generazione. Egli ha sempre sostenuto che il western fosse il genere che per eccellenza si presta a raccontare un’esplosione di violenza. Il suddetto film, un thriller drammatico, continua sull’ondata di quel tema già sviscerato in molti altri prodotti.
Tematica uno: Comunità e personaggi
I personaggi rappresentati sono totalmente inglobati nell’ambiente in cui vivono, che nello specifico caso è possibile denominare comunità. Un luogo racchiuso, fatto di piccole cose e azioni quotidiane che scandiscono la semplice vita dei suoi abitanti. La ripetizione di abitudinari momenti, come la frequentazione del solito bar, alimenta questo concetto. I personaggi accomunati dagli stessi valori, vedono con scetticismo chiunque osi provenire da fuori. L’esterno viene quindi percepito come minaccioso e il protagonista diventa agli occhi della comunità, una minaccia, in grado di sfaldare l’equilibrio interno.
La comunità è quindi sinonimo negativo per Peckinpah, perché conserva e mantiene una dimensione ostica nei confronti del diverso e dell’ignoto. Il giovane matematico fa perciò molta fatica a integrarsi con il resto della gente del posto. I suoi tentativi sembrano vani e l’umiliazione nei suoi confronti appare inevitabile. La sua percezione di nemico viene codificata dai membri appartenenti a quel sistema. Diventa quindi impossibile staccarsi dall’etichetta attribuitegli. L’unica via percorribile per avviarsi in una fase di accettazione, porta inevitabilmente a un conflitto, come vediamo nel seguente film.
Tematica due: Il conflitto
Il processo di integrazione conduce inevitabilmente a un conflitto. Peckinpah suggerisce, attraverso la sua opera, di come la conflittualità sia una parte essenziale per raggiungere un reale stadio di intergrazione. Cane di Paglia mostra esattamente questo aspetto, alludendo fin dalle prime scene, allo scontro finale che coinvolge i personaggi della storia. È una componente alla quale nessuno sembra sfuggire, macchiando di sangue ciascuno dei presenti.
Questa divergenza e scontro di soggettività scaturisce dall’affermazione della propria individualità e personalità da parte del protagonista e dall’altra dal mantenimento dei valori tradizionali, che fanno da collante dell’intero sistema. David infatti sembra trovare quella forza nella violenza, dovuta allo stress accumulato durante tutto il periodo di permanenza in città. Egli comprende che l’unico modo di autoaffermarsi è quello di prevalere sugli altri.
Tematica tre: La violenza
La forte violenza che traspare nel capolavoro della lunga scena finale è la risposta concreta che viene attribuita al conflitto. Il conflitto trova quindi la sua massima espressione nella violenza. Essa si dimostra come l’unica alternativa possibile, per cambiare le regole del gioco. La comunità cede le sue fondamenta e si rivela la causa scatenante dell’emersione di un contesto violento. L’impacciato protagonista è solo la vittima di un sistema che non gli ha lasciato scelta di agire diversamente, nonostante la sua volontà iniziale e costringendolo ad adottare quel tipo di comportamento.
La perseverazione di una serie di elementi indispensabili, per il mantenimento della comunità, genera automaticamente un conflitto violento nei confronti dell’estraneo, il quale per dimostrarsi all’altezza con il resto del gruppo, non può che comportarsi di conseguenza. Le sue azioni e i suoi riflessi diventano quindi un obbligo, trovandosi costretto a scegliere quel tipo di condotta. La violenza appare quindi un fenomeno naturale, al quale l’uomo non può sottrarsi.
Questa è la chiave di lettura del cinema di Sam Peckinpah, considerato da una parte del pubblico come un pessimista, nella sua visione di vita. Dall’altra parte di pubblico invece, quello più ideologico, può venire interpretato come un brillante visionario. Il conflitto come unica strada percorribile per l’ottenimento di certi scopi.
In conclusione
Sam Peckinpah è quindi un autore divisivo, amato e odiato. Considerato troppo violento e banale da un lato e come genio di sregolatezza dall’altro. La regia comunque non delude e si rivela all’altezza del grande talento che conserva. Bei posizionamenti di camera, ottimo montaggio dinamico, nelle scene più adrenaliniche. La fotografia eccezionale. A livello tecnico Cane di Paglia è perfetto e la recitazione è attinente ai ruoli interpretati dagli attori, in testa il camaleontico Dustin Hoffman, in un periodo prolifico della sua carriera, caratterizzato da pellicole incredibili, figlie del loro tempo artistico particolarmente creativo.