C’è ancora domani, inizia strappando un sorriso e prosegue coinvolgendo e emozionando. E poi finisce con un applauso liberatorio e spontaneo in sala. Che ritorna ad essere un luogo di incontro e condivisione. Complice un passaparola più tradizionale ed umano che legato a video virali e short reel. Paola Cortellesi, l’attrice, sceneggiatrice e ora regista, romana ha già messo d’accordo tutti.
Il suo esordio dietro la macchina da presa ha aperto l’ultimo Festival del Cinema di Roma. Vincendo ben tre premi. Il Premio Speciale della Giuria. La Menzione speciale per la Miglior Opera Prima. E infine il Premio del pubblico. In una edizione incentrata sulle donne e i loro talenti, che consegna a Isabella Rossellini il Premio alla carriera. E il suo film, arrivato nelle sale, ha sbancato il botteghino. Con 3,5 Mln di incasso nella prima settimana di programmazione. Scopriamo insieme perché andare a vederlo.
C’è ancora domani, un film in bianco e nero dai molti colori
La Cortellesi attinge alla tradizione del neorealismo di Roberto Rossellini. Con una pellicola completamente in bianco e nero. Che però, fin dalle prime scene, si presenta moderna e coinvolgente. Merito di una fotografia ben curata, firmata da Davide Leone, visto all’opera su Romantiche. Ed una colonna sonora puntuale e accattivante, con musiche originali di Lele marchitelli. Che parte con “Aprite le finestre” per il racconto di una mattina di primavera nella Roma dilaniata e ancora ferita del secondo dopoguerra. Ma che già nei titoli di testa esplode con “Calvin” di The Jon Spencer Blues Explosion.
C’è ancora domani è, e vuole essere, nelle chiare intenzioni di chi lo ha sceneggiato, Paola Cortellesi, Giulia Calenda e Furio Andreotti, un film drammatico. Che parla di miserie umane e drammi familiari. Di uomini piccoli piccoli e di donne che devono stare a bocca chiusa. A subire angherie e umiliazioni. Mandando avanti la casa e la famiglia, facendo tre o quattro “lavoretti” per arrivare a fine mese. È una storia che riserva anche sorrisi e risate. E che, nonostante tutto, riesce a mantenere viva, anche se sotto la cenere, la speranza.
C’è ancora domani, un azzeccatissimo cast
Paola Cortellesi è Delia, moglie infelice e madre di tre figli. Romana Maggiora Vergano è Marcella, la figlia più grande, che ha dovuto smettere di studiare e andare a fare la stiratrice. Sergio, interpretato da Mattia Baldo, e Franchino, Gianmarco Filippini, sono i fratelli più piccoli, che litigano sempre dicendosi parolacce. Valerio Mastandrea è Ivano Santucci, marito e padre padrone. Che tratta male la moglie davanti ai figli. E rispetta solo il vecchio padre malato che vive in casa con loro, il Sor Ottorino, Giorgio Colangeli.
L’unica fonte di serenità e di allegria per la protagonista di C’è ancora domani è l’amica Marisa, interpretata da una convincente Emanuela Fanelli. Un banco di frutta e verdura al mercato insieme al marito-non-padrone Peppe, Gabriele Paolocà e tanta sana leggerezza. È fonte di turbamenti da nascondere e di rimpianti Nino, l’ex amore di gioventù che ha il volto di Vinicio Marchioni. Mentre la renderà prima felice e poi preoccupata il filarino della figlia, Giulio, interpretato da Francesco Centorame.
Protagonista in C’è ancora domani anche il quartiere popolare in cui la famiglia Santucci vive. In un sottoscala che si affaccia sul cortile dove si svolgono molte attività quotidiane. I panni e i pettegolezzi, a cui si dedicano la Sora Giovanna, Priscilla Micol Marino, giovane e ancora non disillusa. La Sora Rosa, Maria Chiara Corti, la vicina gentile e garbata. E l’acida ed incattivita Sora Elvira, Silvia Salvatori. C’è poi Arturo, Lele Vannoli, che controlla il Sor Ottorino quando Delia è fuori casa. E la Sora Franca, Paola Tiziana Cruciani, che ha un negozio e le affida qualche lavoro di cucito.
La trama, una storia dura come un pugno
Il film racconta l’Italia, e Roma, del 1946. La miseria è di casa in tantissime famiglie. Le cicatrici della guerra, da poco conclusa e persa, si avvertono dai discorsi quotidiani. E dagli accidenti e le invettive lanciati a chi si è arricchito con la borsa nera o la delazione. Centrale nella scena, una donna come tante. Perché quello era un periodo di prevaricazione generalizzata degli uomini sulle donne.
Un’abitudine radicata che non guarda in faccia a ceto sociale o cultura. In cui alla fine, come sostiene la regista Paola Cortellesi, erano tutti delle vittime disgraziate. E quindi assistiamo a dialoghi fra Delia e il suocero, che la tratta come una schiava e si vanta di aver accompagnato lui per primo il figlio a mignotte. O ad un Ivano che zittisce Marcella che avrebbe voluto continuare a studiare, dicendole “Tu pensa a portà i soldi a casa e a da’ una mano a ‘st’incapace de’ tu’ madre”.
Ivano non fa altro che riprodurre quello che ha imparato dal padre, canaglia come lui. Mette becco su tutto quello che fa Delia e la critica. E quando è nervoso si giustifica perché ha fatto due guerre. Ed è allora che alza le mani o usa la cintura. La Cortellesi sceglie di filmare una sorta di strano ballo tra i due. Come per, al tempo stesso, sdrammatizzare e enfatizzare il grottesco. Di una scena di violenza che però colpisce ugualmente lo spettatore. E che non passa inosservata a nessuno degli abitanti del palazzo.
Delia, il sacrificio e la fatica
Il personaggio scritto ed interpretato da Paola Cortellesi è assolutamente centrale nel racconto. È attorno a lei, alla sua giornata zeppa di impegni e di sacrifici, che si muove la cinepresa. Davanti al suo sguardo perso e rassegnato. Alle parole che ha imparato a dire “a bocca chiusa”. E dagli sguardi che si scambia con Marisa o Nino o le signore del cortile si riesce a leggere la sua fatica. La sua capacità di superare. E di guardare, nonostante tutto, al domani.
La spina nel cuore è però il rapporto con la figlia Marcella. O meglio il modo in cui si sente guardata, con pietà e quasi disprezzo. E le parole che le vengono dette. Con tutta la rabbia che la ragazza sente crescerle dentro per la paura di fare la sua stessa fine. E anche questo è un tema fondamentale, quasi universale, nel rapporto tra mamme e figlie e più in generale tra donne. Che, collocato in una vicenda di quasi 80 anni fa, consente allo spettatore di riflettere in una maniera immediata e meno frettolosa su alcuni aspetti che troppo spesso sfuggono all’attenzione ancora oggi.
La storia di chi nella Storia non c’era
C’è ancora domani ha voluto parlare della storia di chi non contava niente. Di tante donne che non hanno trovato spazio nella Storia con la esse maiuscola: quella che veniva accettata e tramandata, quella che poi finiva sui libri che loro non leggevano e non scrivevano. Non presenta personaggi buoni, bravi, giusti e vincenti da blockbuster americano. O da feed abbagliante e sofisticato. Non ci mostra il trionfante viaggio dell’eroe: quella crescita spesso artefatta e forzata ormai inevitabilmente collegata ad una celebrazione di sé e del successo fine a se stesso.
Ci ha presentato i personaggi nelle loro gioie e nelle loro miserie quotidiane. Ma senza quella sorta di autocompiacimento cinico di chi guarda gli altri, e li giudica, dall’alto in basso. O forse solo dal basso che precede l’infimo. Regalando un angolo visuale umano ed emozionale che conquista lo spettatore. Facendolo sentire più umano ed emozionato. E ci svela, a poco a poco, la svolta positiva di Delia. Collegata ad una lettera che le arriverà a casa. Che le farà credere che c’è ancora domani.
Conclusione
Una sceneggiatura curata per un film che Paola Cortellesi aveva ben chiaro in testa. Vinicio Marchioni ha letto il copione e le ha detto: “Pa’, l’ho proprio visto”. Ed è stata mirabile la “scena del cioccolato” tra Nino e Delia che hanno girato. Fatta praticamente solo di sguardi e sorrisi, e del giusto uso della cinepresa. Molto accurati dei particolari che arricchiscono il film. Dai costumi dell’epoca, all’atteggiamento dimesso di tutti i personaggi, al modo di fumare una sigaretta senza filtro, al modo di rivolgersi alle persone.
Per quanto Delia sia il centro della storia e della scena, guardando C’è ancora domani agli spettatori arriva in pieno il senso di coralità di un film fatto bene. E quegli spettatori sono usciti dalle sale e hanno rimesso a nuovo, come Delia avrebbe fatto, con la sua santa pazienza, il buon vecchio e saggio passaparola personale. Che sta decretando un successo meritato e contagioso: per il cinema italiano c’è già l’oggi. E un po’ anche per tutte e tutti noi.