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Benvenuti a Eden, recensione

Benvenuti a Eden (Bienvenidos a Edén), creata da Joaquín Górriz e Guillermo López, e con la presenza delle popstar Ana Mena e Belinda, è una serie composta da 8 episodi di genere mistery-horror che ha debuttato la scorsa settimana sulla piattaforma di streaming Netflix e risulta ad oggi al secondo posto dei più visti in Italia.

Racconta la storia di un gruppo di ragazzi che, essendo stati attirati con l’esca di un grande e caotico festival esclusivo, vengono trasferiti su un’isola misteriosa e privati del telefono, rimanendo quindi completamente isolati dal resto del mondo.

Quello che sembra inizialmente un paradiso patinato ed ecosostenibile si rivela presto essere un inferno, fatto di gerarchie irraggiungibili, trame di inganni e una sensazione di inquietudine e claustrofobia incombente.

Il tutto condito da slogan new age, sorrisi forzati e abbracci facetamente affettuosi.

Benvenuti a Eden

Ricorda per i toni e i temi del claustrofobico e del perturbante Squid Game, solo che, se in Squid Game venivano ripresi temi profondamente legati alla società e alla cultura sudcoreana quali i debiti in cui tutti prima o poi incorrono, i riscuotitori aggressivi e la disperazione crescente di coloro che non riescono a pagare, il tutto viene qui banalizzato e rivisitato sotto una lente stereotipata, che vede la Spagna e in particolare le isole spagnole come dei paradisi per festaioli.

Inoltre si possono individuare parallelismi con altri prodotti quali The Truman Show per l’idea del doppio-gioco falsamente cordiale e dell’inganno eseguito da tutti i personaggi che circondano i protagonisti, mentre l’idea del paradiso insulare può ricordare il tema della serie brasiliana 3%.

Benvenuti a Eden

Il tema biblico è individuabile fin dal titolo, Edén è ovviamente un riferimento al giardino paradisiaco di Adamo ed Eva (da qui Benvenuti a Eden), in questo caso rappresentati da Astrid ed Erick, che non possiedono un nome biblico (come invece altri personaggi della serie) ma che riprendono le iniziali del primo uomo e della prima donna, in questo caso invertite.

Tema importante risultano essere ovviamente i binomi bontà-malvagità e paradiso-inferno, che si manifesta per la prima volta con la presentazione del quadro del pittore fiammingo Joachim Patinir, Passaggio agli Inferi, in cui appare Caronte che traghetta un’anima sullo Stige, esattamente a metà tra paradiso e inferno, con la testa rivolta proprio verso quest’ultimo, come se la decisione sul destino dell’anima traghettata fosse già stata presa.

Nella serie però il quadro appare con una modifica: la testa di Caronte è infatti rivolta verso il paradiso, verso, metaforicamente, Edén, risultando ad un primo sguardo parte della propaganda di Astrid, ma rivelando la sua altra natura verso la fine della serie.

Il tema dell’ecologia e dell’ambientalismo, che acquisterà sempre più importanza, viene rimarcato fino all’eccesso, sia con i “notiziari” svolti dagli isolani tutte le mattine, sia dal loro metodo di sostentamento, basato sulla coltivazione autonoma gestita dagli isolani, risultando in un regime alimentare autosufficiente e vegano, giungendo all’apice verso la fine in cui viene spiegata l’origine reale del legame con l’ambientalismo e il significato dell’iniziativa – vero o presunto tale – della fondazione.

Benvenuti a Eden

La fotografia esalta i toni del celeste e del blu, ripetuti ossessivamente dalle riprese delle acque cristalline, dalle divise degli isolani, dal misterioso bracciale azzurro luminoso dato ai partecipanti del festival al loro arrivo, e dalla bibita dagli effetti ancora non chiari; mentre la regia presenta in alcuni tratti riprese eseguite con la telecamera a mano, che danno un look documentaristico e spontaneo ad alcune scene, aumentando anche in quei casi l’immedesimazione con i personaggi e la conseguente tensione.

Benvenuti a Eden

I personaggi sono caratterizzati solo superficialmente, tanto che ognuno incarna quasi un archetipo: il festaiolo, il leader scontroso, l’artista incompreso dal padre, la vip viziata e la protagonista, la cui sola caratterizzazione è quella di essere, appunto, la protagonista, quindi forte, ribelle ma giusta.

Di conseguenza lo spettatore non è troppo portato a tifare propriamente per i personaggi, ma arriva a sperare in una fuga solo perché l’idea di essere intrappolati in un mondo come l’isola di Edén, privati da ogni contatto con gli affetti familiari, risulta a chiunque naturalmente terrificante.

La tensione viene costruita fin dal primo episodio, e lo spettatore è tentato a guardare la serie tutta d’un fiato per accelerare la scoperta del significato dei misteri che si celano dietro l’isola, ma rimane alla fine deluso, poiché la prima stagione di Benvenuti a Eden si rivela alla fine essere un lungo preludio alle stagioni successive, lasciando numerosi interrogativi irrisolti e creandone solo di nuovi.

Benvenuti a Eden

Chi era l’uomo mascherato che ha ferito Erick? Cos’è l’antenna azionata da Africa? Perché Isaac è isolato nel deserto? Come farà Zoa ora che sua sorella è sull’isola? Come continuerà la ribellione di Bel dopo la scoperta del cadavere di Ulises? La detective troverà mai l’isola? E soprattutto, qual è il vero scopo di Astrid e la vera natura dell’isola? È davvero un esperimento sociale per vivere l’esperienza della maternità e l’illusione di una famiglia, oppure è un esperimento ecologico per salvarsi dall’estinzione? O c’è forse dell’altro sotto?

Nel complesso, il rischio che si corre attuando questa tecnica narrativa dello non-svelamento – lasciando quindi così tante sottotrame senza un accenno di conclusione – è quello di lasciare lo spettatore più infastidito che intrigato, ed è ciò che può accadere anche dopo la visione di Benvenuti a Eden; la serie risulta quindi non pienamente riuscita nei suoi obbiettivi, per lo spettatore non privo di pretese.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

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