HomeDrammaticoAnima: confeziona l'arte in quindici minuti

Anima: confeziona l’arte in quindici minuti

Le strade di Paul Thomas Anderson, regista di fama internazionale, e Thom Yorke, voce solista del gruppo rock Radiohead, si sono ricongiunte. Dopo le collaborazioni attivate nel 2016, per i video musicali di Daydreaming, Present Tense e The Numbers, arriva Anima, un esperimento visivo e sonoro capace di generare un’esperienza a tutto tondo.
Il nome del cortometraggio, disponibile su Netflix dal 27 giugno, riprende il titolo dell’ultimo album di Yorke da solista. Nel lavoro sono stati inseriti tre dei nove brani del disco. Le musiche scelte hanno segnato il ritmo del montaggio, favorendo interruzioni e sbalzi di luci e ombre, e hanno contribuito alla narrazione di fondo. L’idea originale di Yorke era raccontare di come il mondo introspettivo dell’artista, pervaso da ansie e pressioni interiori, cambia la percezione della realtà. Ma il lavoro visionario di Paul Thomas Anderson ha reso lo spunto del cantautore un vero e proprio viaggio nel subconscio.

Il protagonista, interpretato da Yorke, è l’anello debole della catena, colui che si stacca dal gruppo e resta indietro, nella penombra. L’uomo non segue il percorso prestabilito ma cerca la sua strada esplorando zone ancora deserte. È curioso ma impacciato, a tratti comico. Lo stesso Anderson sostiene che l’interpretazione di Yorke è ricca di elementi riconducibili alla filmografia di Buster Keaton. Le sue movenze meccaniche, infatti, riprendono spesso le gag dello storico personaggio del cinema muto, che esagerava nel gesto a discapito dell’espressione e della parola. L’uomo di Yorke è infatti malinconico, quasi privo di emozioni, vagabondante, alla ricerca di un punto d’arrivo.

Ma cambiando per un attimo il punto di vista, spostandoci da quella che è la visione soggettiva del protagonista e analizzando il quadro totale che ci viene mostrato, si può reinterpretare il viaggio dell’uomo sconosciuto come un’esplorazione della mente umana. L’omologazione del gruppo, che in diverse occasioni si unifica trasformandosi in una barriera limitante per il protagonista, rappresenta simbolicamente i confini del substrato mentale superiore, comunemente definito con  l’appellativo di conscio. Lo sconosciuto (Yorke) è invece l’enigma, l’estraneo, che si oppone ai canoni della logica per approdare nella parte della mente meno controllata, il subconscio. Il cortometraggio raffigura lo stato d’instabilità del protagonista che continua a sviluppare piani di evasione fallimentari, ma il labirinto della mente viene sciolto nel momento in cui conscio e subconscio hanno nuovamente un contatto.

Il one reeler (film della lunghezza di 10-15 minuti che riesce ad adattarsi al formato di un solo rullo, pellicola) parte con un vertice iniziale (galleria della metropolitana), una spirale simile ad un sogno deforme, che viaggia su un binomio simbolico di calma e caos. I due stati d’animo si sviluppano in successione, rendendo il prodotto finale una sintesi della follia, in cui piccoli frammenti di logica vengono sfaldati dal surrealismo visivo e acustico.
A svolgere un ruolo fondamentale è anche la coralità dei movimenti degli interpreti, che riescono a sottolineare la disuguaglianza dello sconosciuto. Per la realizzazione delle coreografie, Yorke, ha scelto Damien Jalet, conosciuto sul set di Suspiria – con la regia di Guadagnino – a cui entrambi hanno preso parte l’anno passato. Lo studio su Anima non poteva non portare alla luce un lavoro altrettanto accurato.

Il merito va anche ad Anderson, uno dei pochi registi che riesce a spaziare tra la realizzazioni di capolavori superiori alle due ore (Magnolia, Il Petroliere) fino al one reeler (Anima) senza perdere la sua impronta distintiva, capace di mantenere in qualsiasi occasione un’alta percentuale di concentrazione. Anima non è solo un cortometraggio cinematografico/musicale, non è uno sponsor per il nuovo disco di Thom Yorke, è più che altro un insieme di arti racchiuse in un piccolo spazio temporale.

Voto Autore: [usr 4,0]

Davide Pirovano
Davide Pirovano
Mi piacciono le arti visive contemporanee e mi piace pensarle in un’ottica unificatrice. Non so mai scegliere, ma prediligo le immagini e storie di Gaspar Noé, David Fincher, Yorgos Lanthimos e Xavier Dolan.
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