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All we imagine as light: la bellezza sottovalutata

All we imagine as light è tra i film dell'anno anche per i Cahiers du Cinema, un film che merita la visione e la sala cinematografica

L’approdo di All we imagine as light al Festival di Cannes ha segnato il ritorno di un film indiano a trent’anni dall’ultima volta. Opera prima di finzione della regista Payal Kapadia, proveniente dal mondo del documentario. Il film sulla Croisette ha ricevuto un’accoglienza molto positiva, un entusiasmo che si è tradotto anche in riconoscimenti ufficiali. Infatti, è arrivato ad aggiudicarsi il Grand Prix Speciale della Giuria, secondo in ordine di importanza solo alla Palma d’oro. La scelta della commissione indiana di non presentarlo come proprio candidato per gli Oscar ha suscitato polemiche. In Italia il film è stato distribuito col titolo (non proprio fantasioso) Amore a Mumbai. L’Italia risulta, comunque, tra i co-produttori del film assieme a India, Francia, Paesi Bassi e Lussemburgo.

All we imagine as light

All we imagine as light: trama e cast

Prabha (Kani Kusruti)e Anu (Divya Prabha)sono due infermiere all’ospedale di Mumbai che condividono la casa. Prabha è sposata, ma il marito si trova in Germania. Anu, più giovane, ha invece un rapporto segreto con un uomo di fede musulmana Shiaz (Hridhu Haroon). I due tengono la relazione segreta perché non sarebbe ben vista né dalla famiglia della ragazza né dalla gente in generale. Prabha scopre il flirt della coinquilina e pur non condividendolo, decide di mantenere il segreto. Nel frattempo, la donna respinge la corte di un dottore dell’ospedale in cui lavora. Prabha è diventata un punto di riferimento per tutto l’ospedale, soprattutto per le colleghe infermiere e il personale di servizio.

Proprio per questo la donna si interessa alla storia della cuoca della struttura, Parvaty (Chhaya Kadam) che rischia di perdere la casa. La cuoca, più in là con l’età di Prabha, ha perso il marito e non ha nulla che le permetta di rivendicare il possesso dell’abitazione. Resasi conto dell’impossibilità di vincere contro l’impresa che intende demolire la sua casa per farne un resort, Parvaty decide di tornare nel suo villaggio d’origine. Viene aiutata nel trasloco proprio da Anu e dalla stessa Prabha. L’arrivo al villaggio per le tre donne segnerà un passaggio importante, per chi un ritorno, per chi un nuovo inizio. All we imagine as light è stato girato oltre che a Mumbai anche nel distretto di Ratnagiri.

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All we imagine as light: tutta la luce che vediamo

Payal Kapadia nella realizzazione di All we imagine as light non ha nascosto la sua formazione prettamente documentaristica. Una formazione che si ravvisa in una regia quasi clinica, non per questo fredda o assente. Anzi, il film procede spesso tra i rumori esterni più che tra i dialoghi, più nelle immagini che nelle parole. Un’opera fatta di contrasti, di giochi di luce e una storia di tre donne che rappresentano tre mondi, ma che alla fine finiscono per essere un tutt’uno. Kapadia mette così in scena tre fasi diverse della vita di tre donne indiane e una riflessione più generale sulla società del suo paese. È un ritratto amaro ma non disilluso quello che viene fuori da questa storia. Un paese che non ha ancora superato il classismo, che ancora guarda con occhio diffidente alle relazioni tra due persone di due nuclei culturali e religiosi diversi.

All we imagine as light porta in scena tutto questo senza appesantire la narrazione, senza rinunciare a una forza estetica indimenticabile per lo spettatore. Kapadia rende benissimo l’universo dei contrasti e lo fa in modo deciso ma anche delicato. Come la stessa regista ha spiegato è un film fatto di questi contrasti: anche quello tra la città e la campagna. Perché da una parte c’è la città, caotica e frenetica e dall’altra la campagna dove la vita scorre placida. Non è un manifesto della vita bucolica, semmai una riflessione potente sulla frenesia di città che finiscono per inghiottire le persone e le loro storie, come stava succedendo a Parvaty. Il titolo nella sua bellezza poetica finisce per tradurre l’intento del film.

I film che vanno difesi, diffusi

Visto che la luce è un concetto fondamentale di questo film, appunto a partire dal titolo, parlarne è il modo di rendergli giustizia. All we imagine as light sta ottenendo dei giusti riconoscimenti internazionali, ma rischia forse di restare un film di nicchia. È un film che, invece, meriterebbe un’attenzione più diffusa, per i suoi temi ma anche per le sue forme. Kapadia riesce a compiere una riflessione sulla differenza tra città e campagna, anche, anzi, preminentemente grazie alla luce del suo film. Da una parte c’è la luce, artificiale, della città, dall’altra quella del giorno della campagna del Ratnagiri. È in questa dimensione che si gioca principalmente il film.

Si tratta di opere che spesso scontano la loro provenienza da un festival o da paesi al cui cinema siamo poco abituati. Perché è vero che da una parte i festival fanno da trampolino di lancio, è vero anche che spesso acuiscono il senso di prodotti riservati a una nicchia, con una distribuzione spesso poco capillare. Negli anni ci sono stati film che sono passati un po’ in sordina nelle nostre sale. Basta pensare ad Anatomia di una caduta, forse tra i migliori 5 film del 2023 eppure passato quasi di straforo nei cinema italiani. La vittoria di premi non basta a compensare a questa scarsa distribuzione o all’attenzione latente, parlarne è un modo per far arrivare questi film a un pubblico che sia più vasto possibile

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PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Con All we imagine as light il Festival di Cannes ci ha permesso di scoprire una nuova voce di un cinema enorme e complesso come il cinema indiano. Un film che brilla come la luce del suo titolo.
Stefano Minisgallo
Stefano Minisgallo
Si vive solo due volte come in 007. Si fanno i 400 colpi come Truffaut, Fino all’ultimo respiro come Godard. Il cinema va preso sul serio, ma non troppo. Ci sono troppi film da vedere e poco tempo, allora guardiamo quelli belli. Il cinema è una bella spiaggia, come nei film di Agnes Varda.

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