Ad Astra

Spazio: ultima frontiera, dell’esplorazione e della conoscenza. Il cinema fantascientifico ha vissuto negli ultimi anni una continua evoluzione che lo ha condotto dalle tipiche dinamiche di genere ad un’ispirazione autoriale guardanti a maestri come Kubrick e Tarkovskij, a capolavori come 2001: Odissea nello spazio (1968) e Solaris (1972), in cui il mezzo fantastico e avveniristico, spesso legato a possibili e credibili rivoluzioni scientifiche, viene contestualizzato in un’ottica umana e introspettiva, con il privato spesso dominante le logiche narrative. Ultimo tassello ad inserirsi nella categoria è il qui oggetto di recensione Ad Astra, il personale approccio da parte del talentuoso regista James Gray che ha dichiarato di aver voluto realizzare “la miglior rappresentazione dello spazio mai vista in un film“. Senza essere forzatamente così assolutisti, va detto che l’impegno di dar vita ad una sfondo credibile è palpabile, con la collaborazione da parte di agenzie come la NASA e la Space X di Elon Musk affinché la fedeltà e verosimiglianza fossero il più vicino possibile all’ipotetica realtà. Presentata nel concorso principale all’ultima edizione del Festival del cinema di Venezia, la pellicola può vantare la presenza da protagonista di Brad Pitt che, dopo C’era una volta…ad Hollywood (2019) sforna a distanza di pochi mesi un’altra performance maiuscola.

Ad Astra

La storia di Ad Astra è ambientata in un prossimo futuro dove il nostro pianeta è vittima di picchi energetici dall’origine sconosciuta, causanti ogni giorno danni e un ingente numero di vittime in diversi angoli del globo. Il Comando Spaziale Statunitense sospetta che dietro queste manifestazioni vi sia una missione partita molti anni prima e della quale si è persa ogni traccia, a capo della quale vi era il leggendario astronauta Clifford McBride. Il figlio dell’uomo, il maggiore Roy, viene convocato dai piani alti per partecipare ad una nuova spedizione: il Nostro scopre che il padre potrebbe essere ancora vivo e accetta l’incarico di verificarlo in prima persona, iniziando un viaggio che, in gran segretezza, dovrà condurlo ad una base sotterranea di Marte (da tempo già colonizzato) dalla quale tentare di comunicare con il genitore. Dopo un primo step su suolo lunare, non privo di imprevisti, Roy giunge sul Pianeta Rosso e invia un messaggio nello spazio ma quando comprende il rischio di essere estromesso dall’operazione per un coinvolgimento troppo personale, dovrà decidere se far ritorno sulla Terra o disobbedire agli ordini e affrontare i propri demoni.

Ad Astra

Se in Interstellar (2014) era il rapporto padre – figlia l’elemento portante dell’odissea spaziale del protagonista, in Ad Astra è il legame figlio – padre che porta avanti il cuore narrativo della vicenda, aprendosi ad interessanti sfumature emotive che caratterizzano la moderna sci-fi umanista. Sin dai primi istanti Gray cerca di disorientare lo spettatore, con un prologo criptico e suadente che spalanca le porte al primo vagito spettacolare delle due ore di visione, con il Nostro in caduta libera da una stazione spaziale non poi così distante dalla terraferma. Il film si apre a voice-over utili ad approfondire la psicologia del personaggio e a costruire un saldo rapporto empatico con lo spettatore, intento ampiamente riuscito anche grazie alla solida performance di un Pitt trattenuto e sommesso, perfettamente a suo agio nei panni di una figura tormentata e alla ricerca di risposte da troppo tempo celate. La trama si adombra di atmosfere pseudo spionistiche dall’arrivo sulla Luna, con segreti che emergono lentamente e pongono in nuova luce quanto accaduto all’equipaggio del genitore, predisponendo i fondamentali spunti alla drammatica “resa dei conti” finale che riflette sul connubio tra ossessioni e aspettative di non essere l’unica forma di vita nell’universo.

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Ad Astra

L’intensa corsa dei rover sulla superficie del satellite, con una tensione costante amplificata dall’assenza di gravità che offre variazioni alle classiche interazioni action, una richiesta di soccorso di alienana memoria con brutte sorprese ad attendere gli astronauti, la disobbedienza costretta ad ordini ingiusti e le relative conseguenze lasciano campo libero ad un intrattenimento intelligente, spruzzato qua e là da istinti horror e pieno di profondi spunti psicologici. La potente messa in scena, con una certosina cura nei dettagli sia degli ambienti chiusi che degli sfondi extraterrestri, unisce alla sfaccettata sostanza un’appagante apparenza, e l’occhio reclama la sua parte con indubbia soddisfazione. Il regista sa come giocare col filone e, tra citazioni ad altri cult a tema come Contact (1997) nella progressione degli sviluppi familiari e Frequency – Il futuro è in ascolto (2000) nei tentativi di “messaggistica” a distanza, realizza con Ad Astra un’epopea morale e privata che, come sottolineato dal dolce-amaro epilogo, insegna ad amare la vita e guardare ad altezza d’uomo senza bisogno di cercare un senso ad anni luce di lontananza.

Voto Autore: [usr 4,5]

Maurizio Encari
Maurizio Encari
Appassionato di cinema fin dalla più tenera età, cresciuto coi classici hollywoodiani e indagato, con il trascorrere degli anni, nella realtà cinematografiche più sconosciute e di nicchia. Amante della Settima arte senza limiti di luogo o di tempo, sono attivo nel settore della critica di settore da quasi quindici anni, dopo una precedente esperienza nell'ambito di quella musicale.

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