A qualcuno piace caldo, titolo originale Some Like It Hot è un film del 1959 diretto da Billy Wilder. È considerata una delle migliori commedie della storia del cinema, non a caso, in quanto si tratta di un vero capolavoro del genere. Ad alcuni paradossalmente non piacque, come a Pier Paolo Pasolini, che in merito disse: “A qualcuno piace caldo, malgrado quel fenomeno delizioso che è Marilyn Monroe, è un film approssimativo e deprimente, che lascia in bocca l’amaro di un gioco di società riuscito così così“. Tuttavia, ancora oggi questo film si impone come un cult indimenticabile.
Per quanto riguarda il significato del titolo, tante ipotesi si sono fatte. Alcuni pensano che “hot” si riferisca all’hot jazz, genere in voga all’epoca, cosa che si lega bene al fatto che i protagonisti del film siano musicisti. In realtà Billy Wilder ebbe una sorta di illuminazione riguardo al titolo di un film con Bob Hope del 1939.
Nel film è poi presente anche una scena, inserita di proposito, nella quale Zucchero, interpretata da Marilyn Monroe e Joe, Tony Curtis, parlano del jazz come di qualcosa di “caldo”.
La genialità di Billy Wilder
Billy Wilder è stato un regista e sceneggiatore in grado di rivoluzionare diversi generi. Non solo, infatti, la commedia, ma anche il noir, di cui il suo Double Indemnity (in italiano conosciuto come La fiamma del peccato) è uno dei primi esempi. In questo film è possibile riconoscere un geniale uso di correlativi oggettivi, ovvero di oggetti che sulla scena possano rappresentare sentimenti e sensazioni dei personaggi o l’intero significato del film (come il rompicapo presente nel celebre Quarto potere, per citare una pietra miliare del cinema).
Non solo questo. Le sceneggiature di Billy Wilder sono caratterizzate da uno spazio fondamentale per i dialoghi, con battute che rimangono impresse nello spettatore. Questo perché era prima di tutto uno scrittore e sceneggiatore, che diventa regista anche per avere maggiore libertà nelle sue storie. A qualcuno piace caldo non fa eccezione; la produzione del film è mossa da una libertà creativa che possiamo percepire in ogni fotogramma. È infatti specialmente nella commedia brillante, di cui fu geniale autore, che Billy Wilder ha mostrato il suo talento. Nelle sue commedie, il regista non manca di costruire tra equivoci e gag un ritmo incalzante e unico. Incarna un odio per i cliché che Wilder ha sempre avuto, come dimostrerà anche in L’appartamento, uscito un anno dopo rispetto a A qualcuno piace caldo e anche questo con protagonista Jack Lemmon.
In realtà, nelle sue commedie di fatto il regista inserisce elementi noti allo spettatore e tipici del genere, tuttavia resi in modalità nuove, grazie alla sua capacità di sceneggiatore di dialoghi e battute sagaci e divertenti. Le quali hanno influenzato la cultura del cinema e non solo.
Il travestimento, la base di A qualcuno piace caldo
Nel caso di A qualcuno piace caldo, la trama è semplice. Siamo a Chicago durante il proibizionismo quando due musicisti squattrinati assistono, loro malgrado, a un omicidio a opera di mafiosi. Da quel momento dovranno nascondersi. L’idea geniale è quella di travestirsi da donne ed entrare in un’orchestra femminile, così da non poter essere ritrovati.
Inutile dire che il travestimento di questi due uomini, interpretati da Jack Lemmon e Tony Curtis darà vita a non pochi equivoci e problemi. Circondati da bellissime ragazze, tra le quali Zucchero (Marylin Monroe), suonatrice di ukulele e cantante, dovranno resistere alla tentazione di cedere alla loro avvenenza.
Pur essendo un film assolutamente divertente, e in cui i gangster faranno solo da sfondo, la storia su cui si basa la pellicola è vera. Per scriverlo Billy Wilder (autore della sceneggiatura insieme a I. A. L. Diamond) si ispirò alla realmente accaduta Strage di San Valentino. Un episodio molto cruento della storia della mafia italo-americana: il 14 febbraio 1929 avvenne infatti il massacro della banda del gangster George Bugs Moran a opera degli uomini di Al Capone a Chicago.
La tragedia del massacro è l’ispirazione per una parodia dei gangster movie, che comunque cede il posto principale al tema del travestimento, cui Billy Wilder fu sempre profondamente affezionato. Trova spazio anche in Double Indemnity, questa idea grottesca di nascosto che ovviamente in questo caso diviene comica e mirabilmente sfruttata. Per giunta, vi è un travestimento dentro al travestimento: Joe si finge Josephine, quindi un uomo si finge donna, ma quando decide di conquistare Zucchero sceglie di presentarsi come un uomo ricco e altolocato, impostando anche un accento particolare sfruttando le informazioni sui gusti riguardo agli uomini che Zucchero, credendolo una donna, gli ha confidato. Wilder adotta tattiche semplice e gag minime, che mostrano come una commedia possa essere brillante con poco, senza bisogno di virtuosismi o di effetti speciali tanto in voga ultimamente.
Il presupposto, già incredibilmente accattivante per uno spettatore viene quindi ulteriormente sfruttato. Osservando il film con gli occhi moderni, non sembra esserci spazio per un’idea tossica di mascolinità o per una indelicatezza nei confronti del “fingersi donna”. Una profonda classe che Wilder ha sempre conservato. Essa risiede nella capacità del regista e sceneggiatore di fondere reale e surreale con profonda consapevolezza. Inseguimenti, battute, attori, tutto coincide perfettamente in un ingranaggio perfetto e innovativo del genere. Il fraintendimento e la simulazione sono allegorie di un’esistenza che presuppone per forza di cose complicazioni, stratagemmi, inganni, un quadro semplice quanto funzionale di una società. Zucchero, l’affascinante Marylin, è stata sfruttata e delusa per la sua ingenuità e si trova di fronte l’ennesimo ingannatore, l’ennesimo bugiardo.
In una delle scene in cui canta, non la più celebre del film (come quella in cui intona I wanna be loved by you) il pentimento, la confessione, di quell’amica travestita che altri non è che il suo amato. È un lieto fine il loro che effettivamente lo spettatore si aspetta eccome. Tuttavia, colpisce per la reazione shockata della direttrice d’orchestra, che mentre dice che le ragazze sono virtuose assiste a un bacio tra “due donne”. Cattura per il dissacrante ed esilarante modo che Wilder ha di presentare ogni cosa. Non mancano, comunque, oltre a queste esilaranti gag, i momenti di suspense, grazie alla capacità del film di fare entrare lo spettatore in empatia con i protagonisti, specie quando i temuti gangster saranno sul punto di scovare i protagonisti. Così che il film sembra seguire un climax ascendente verso il memorabile finale, in cui niente è lasciato al caso.
“Be’, nessuno è perfetto” una battuta intramontabile
La vicenda di Joe è travagliata, ma anche quella della sua collega, Daphne (in realtà Jerry, Jack Lemmon) non sarà priva di insidie. Si ritroverà vittima del suo stesso inganno, corteggiato da un ricchissimo anziano signore, Osgood, interpretato da Joe E. Brown. La coppia Curtis-Lemmon mostra nella pellicola tutto il suo affiatamento, i due attori hanno realizzato una prova attoriale incredibile. Il rischio di realizzare donne macchietta fastidiose nel travestimento era dietro l’angolo, ma non è stato neppure sfiorato.
Contribuisce anche il bianco e nero, scelta fortemente voluta da Wilder, a impedire che le due figure sembrino troppo “sopra le righe”. Tuttavia, naturalmente, non è solamente visivo il lavoro dei personaggi. Il paradosso di Jerry/Daphne che inizia a credere lui stesso nella farsa – e in modo a dir poco esilarante annuncia il suo fidanzamento con Osgood al compare Joe – non è semplicemente una trovata divertente, ma una rivoluzionaria modalità di rappresentare l’uomo e la figura di “maschio” in una commedia (sempre coerentemente con l’odio di Wilder verso i cliché). Due uomini di cui uno da ingannatore diventa conquistato dalla bella Zucchero e l’altro è vittima della sua stessa dissimulazione.
La commedia brillante mostra la sua genialità soprattutto nella conclusione. Il dialogo finale tra Daphne e Osgood, che vuole a tutti i costi sposarla, non sapendo che è un uomo. Daphne, in realtà Jerry, inizia allora a elencare una serie di difetti che possiede, per non farsi sposare, ma l’uomo è irremovibile. Dopo un po’ il colpo di scena: gli confessa di essere un uomo, ma Osgood risponde in un modo celeberrimo: Be’, nessuno è perfetto.
Questa battuta finale, in originale Well, nobody’s perfect è stata inserita nello studio l’AFI’s 100 Years… 100 Movie Quotes al 48º posto nella classifica delle cento battute più celebri della storia del cinema. La gag finale mostra la sagacia dei dialoghi di Wilder e la genialità di un film che non a caso è intramontabile per il suo dissacrante modo di dipingere la società. Il grande Billy Wilder è stato in grado di presentare al pubblico niente di nuovo, se non tutto: apparentemente una commedia di equivoci, malintesi e gag, ma ancora una volta è il come a fare la differenza. E dall’equivoco intricato e vivace ha saputo trarre un vero capolavoro.